Ancora sul discorso del papa a Redipuglia …
Le righe che seguono vorrebbero proseguire la riflessione avviata da Marco Impagliazzo su questo stesso blog a proposito del discorso del papa a Redipuglia.
Bergoglio ha parlato sabato scorso di un tempo del pianto. Nelle sue parole si coglievano non solo sollecitudine paterna e preoccupazione pastorale, ma anche la consapevolezza di chi – avrebbe detto Paolo VI – è esperto in umanità. Di chi conosce la storia degli uomini, di chi ricorda come il buio periodo delle guerre mondiali sia iniziato con due colpi di pistola esplosi da un adolescente a Sarajevo e si sia concluso con due bombe atomiche sganciate sul Giappone meridionale. “E’ proprio dei saggi riconoscere gli errori”, ha detto Francesco, “provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere”.
Il papa propone il passaggio dall’aggressività parolaia o pratica incurante delle possibili conseguenze – “A me che importa?” – al pianto. Si tratta di fare memoria, di guardare in faccia la guerra, di svelarne il volto, tragico e folle. Piangere non è un esercizio pietista o vittimista. E’ la premessa di una rivolta del cuore e dell’intelligenza contro il sonno della ragione che genera mostri nel chiuso delle coscienze, contro la minaccia di armamenti che potrebbero sfuggire di mano all’apprendista stregone intenzionato a servirsene a fini di deterrenza o di giochi di potere.
“Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni, ma le loro vite sono state spezzate”, ha detto il pontefice. Vado con la memoria ad un altro cimitero di guerra, ancor più esteso di quello di Redipuglia, il cimitero di Ypres/Ieper, che ho
visitato recentemente nel quadro dell’incontro di preghiera per la pace ad Anversa, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio per portare avanti lo spirito di Assisi.
Ypres è uno dei luoghi simbolo della I guerra mondiale. Su quel fronte l’esercito tedesco usò per la prima volta nella storia le armi chimiche, un gas chiamato da allora in poi iprite. Alla porta orientale della cittadina, la Menenpoort, è stato innalzato un monumento ai caduti del Commonwealth nelle Fiandre che riporta i nomi di quei soldati che hanno trovato la morte nelle vicinanze e il cui corpo non è più stato ritrovato.
Ypres, Redipuglia, tanti altri luoghi di morte, ci parlano, ci invitano a piangere, a smettere di gridare e di affrontarci. “Cessate d’uccidere i morti, / Non gridate più, non gridate / Se li volete ancora udire, / Se sperate di non perire”, scriveva Ungaretti dopo la II guerra mondiale. Piangere, e non perire, vuol dire disarmare i cuori e gli arsenali.
Il pianto non è resa, è invito al coraggio, quello vero. Il coraggio di immaginare il disarmo, delle armi nucleari, delle armi chimiche, in primo luogo. E di farlo oggi, prima che sia tardi, anche se questo è di nuovo tempo di guerra, di una guerra a capitoli, di una guerra di gruppuscoli armati che vogliono fare la storia a colpi di orrore mediatico. In questo tempo di disordine e di disorientamento, se non vogliamo perire, dobbiamo piangere su ciò che è stato, smettere di gridare, smettere di accumulare odio e armi.
Francesco De Palma
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