FATTI

Città nel mondo, tra crisi e speranza

La città ideale, Urbino, Palazzo Ducale.

Gli studiosi di demografia hanno accertato che in questo decennio – per la prima volta nella storia dell’umanità – gli abitanti delle città hanno superato quelli delle campagne. Viene in mente il refrain di una vecchia canzone di Giorgio Gaber che qualche decennio or sono ammiccava:

«Vieni, vieni in città. Che stai a fare in campagna?
Se tu vuoi farti una vita, devi venire in città!»

 Eppure, l’urbanesimo è purtroppo ben lontano dal possedere la risposta alle molte aspirazioni dell’uomo globalizzato. A parte le enormi difficoltà in cui si dibattono le megalopoli del pianeta, esiste una dimensione critica che indubbiamente coinvolge anche paesi con realtà urbane più modeste come l’Italia. Vorrei perciò segnalare, in particolare, tre volumi recenti che affrontano – da diverse prospettive – questo tema.

Il primo libro è dedicato in particolare alle città che si affacciano sul Mare Nostrum e si intitola Le città vogliono vivere. Lotte e speranze del Mediterraneo. Curato da Romina Giampaoli, raccoglie riflessioni e suggestioni che alcuni intellettuali – riuniti a Livorno, lo scorso 2014 – hanno svolto insieme, con la prospettiva di offrire una nuova visione di speranza e di futuro alle loro città ed a quanti – dai continenti della crisi – approdano in vario modo sulle sponde dell’Europa. L’appuntamento livornese è stato da poco replicato anche quest’anno, segno evidente del bisogno di continuare una riflessione sullo stato degli scambi e delle relazioni in un contesto – quello del Mediterraneo – di approfondita crisi umanitaria.
Il secondo invece – presentato lo scorso 3 marzo presso la basilica romana di san Bartolomeo all’Isola – è dedicato ad una riflessione teologica e parte da Buenos Aires. Il libro si intitola Dio vive in città. Verso una nuova pastorale urbana ed è frutto del lavoro dello studioso argentino Carlos Maria Galli;

«è un’opera che ho pensato nel corso di più di 25 anni – ha detto l’autore in una intervista. Io abito nella città di Buenos Aires, che è circondata da una grande periferia. In totale siamo più 13 milioni di abitanti ed è l’ottavo conglomerato urbano del mondo. Ma l’Argentina non è un caso isolato […]. Si dice che in questa città moderna, secolarizzata, postmoderna non ci sia un luogo per Dio. Il mio pensiero va invece per un’altra strada […] Noi abbiamo imparato nel vecchio Catechismo che alla domanda “Dov’è Dio?”, la risposta era: “Dio è in cielo, in terra e in tutti i luoghi”. La traduzione attuale di questa verità della nostra fede, sulla presenza di Dio nell’uomo e nel mondo, è: la città, Dio è nella città. La città, con tutte le sue sfumature certamente. Papa Francesco […] ha scritto una frase più personalistica: “Dio vive tra i cittadini”. L’invito è a un nuovo sguardo della fede per trovare o ritrovare la presenza misteriosa e anche reale di Dio nella vita della cultura urbana contemporanea.[…] questo significa soprattutto avvicinarsi, significa anche non analizzare la vita cittadina da fuori, ma da dentro, con simpatia, con vicinanza e compassione».

Infine, con uno sguardo rivolto al nostro paese, il libro di un urbanista critico, Paolo Berdini, che propone invece una riflessione dal titolo Le città fallite. I grandi comuni italiani e la crisi del welfare urbano. Il pensiero va subito alla Capitale, ma la trama si allarga e coinvolge uno scenario nazionale che non manca di analogia e similitudini nel mondo dell’Occidente. Dopo alcuni tentativi generosi del passato volti a favorire lo sviluppo di habitat comunitari e solidaristici, tra i quali quelli di Crespi, La Pira ed Olivetti, Berdini sostiene che – con l’avanzata della speculazione cosiddetta “neoliberista” – nel nostro paese

«[s]ono state […] create immense periferie senza servizi e senza anima. La sovraproduzione edilizia ha provocato il crollo dei valori immobiliari, cosicché le famiglie italiane, già colpite dalla crisi economica e dalla disoccupazione, vedono scomparire i servizi sociali e il valore della propria abitazione. Povertà e insicurezza per tutti. […] Le città falliscono perché non riescono a garantire i servizi all’enorme periferia costruita negli ultimi anni: è dunque ora di fermare ogni espansione urbana. […] Per uscire dalla crisi occorre mutare paradigma: ricostruire le città pubbliche e il welfare urbano».

Talvolta, Berdini sembra mancare di speranza, in una analisi serrata eppure forse troppo stretta in letture deterministe. Eppure, va apprezzato il tentativo di imbastire una riflessione – non superficiale – sui luoghi della vita degli uomini e delle donne del nostro tempo, che hanno bisogno di ricostruire il tessuto di una convivenza umana non isolata e non egotista.
Le scelte urbanistiche, in effetti, riescono a mutare l’antropologia e la stessa percezione delle relazioni umane.
Ma è infine nella costruzione della cultura del convivere – oggi  soprattutto nelle città, luogo emblematico del nostro tempo fragile – che ciascuno è chiamato a vivere la propria personale responsabilità per le sorti del mondo, che sono affidate, in ultima istanza, anche alle nostre scelte di cittadini che credono nel futuro della convivenza e lavorano per un rinnovato umanesimo.
Come ha osservato Andrea Riccardi:

«Siamo tutti diversi ma anche uniti da connessioni profonde. Nel conoscere e comporre contiguità e distanze, prossimità e meticciati, si esercita quell’arte del convivere frutto di realismo politico e di speranza. È il realismo di fronte a un mondo plurale. È l’augurio che non si ripeta l’impazzimento della pluralità nel conflitto. È la realizzazione di una civiltà fatta di tante civiltà o di tanti universi culturali, religiosi e politici, senza svendita e senza paura delle identità. La coscienza di quanto sia necessaria la civiltà del convivere è l’inizio di una cultura condivisa».

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