FATTI

Padre Pino Puglisi, tra inferno e paradiso

Il nuovo, bel romanzo di Alessandro D’Avenia (“Ciò che inferno non è”, Mondadori) si muove su un crinale sottile, tra inferno e paradiso. Lo scrittore descrive l’inferno di Brancaccio, Palermo, tragica periferia urbana in mano alla mafia, come pure il suo riscatto, l’azione intelligente e umana di padre Pino Puglisi, che dalla mafia sarebbe stato ucciso in odium fidei il 15 settembre 1993 e che sarebbe stato beatificato vent’anni dopo davanti decine di migliaia di fedeli. 

Meno evidenti di quello di Brancaccio (davvero “aere sanza stelle” e “aura sanza tempo”, “sospiri, pianti e alti guai” come scriverebbe Dante) si intravedono altri inferni, indubbiamente non così violenti, quello dell’indifferenza della buona borghesia palermitana al degrado che si mangia i margini della città, ovvero quello dell’impotenza della scuola a cambiare la realtà. Anche tutto questo va riscattato, coinvolgendo ad esempio il Federico liceale (alter ego di D’Avenia, che al Vittorio Emanuele II fu effettivamente, per brevissimo tempo, allievo di p. Puglisi) che scopre il mondo tanto vicino – ma tanto lontano – di Brancaccio, vi si fa coinvolgere, fino ad esserne segnato nel corpo, fino a sovvertire l’elenco delle cose importanti e di quelle che non lo sono.
Un romanzo di formazione è in effetti ““Ciò che inferno non è”, l’incontro tra un adolescente e un maestro, tra un figlio e un padre, tra un ragazzo che ha il futuro davanti ma non sa guardare nemmeno il presente e un prete testardo a un passo dalla morte che sa amare l’oggi e il domani e sa aprire gli occhi dell’altro alla verità.
Per questo, perché è un Bildungsroman, si può perdonare al libro di avere pochi chiaroscuri, poche sfumature. C’è il bianco e c’è il nero, la salvezza e la perdizione, il bene e il male. Ma forse è il nostro tempo a essere troppo appassionato di sfumature di grigio. Forse si ha bisogno di compiere una scelta e forse chi è all’inferno ha bisogno di ciò che inferno non è, non di un suo surrogato. 

Il veloce scorrere delle pagine ci avvicina all’assassinio di Pino Puglisi. E’ l’omega di un’estate calda di scoperte, ma anche di tragedie. Ma si comprende bene come quella morte non ponga fine a nulla. L’avventura del prete professore che amava gli studenti (“Non si tirava mai indietro rispetto alla realtà, non risparmiava l’attenzione sulle cose più scomode, portava il mondo in classe e non cercava di escluderlo, come altri professori. Per lui il programma eravamo noi, con le nostre vite e le nostre domande”), del prete padre che amava i bambini (“Sa che solo i bambini entrano in cielo, o chi torna a essere come loro. Ma non perché siano buoni. Perché dipendono. Sanno solo ricevere”), ha avvicinato gli uni agli altri, ha seminato una speranza e un’opportunità nuova, ha fatto sognare agli uni e agli altri un futuro di non separazione, di non inferno. Del resto, chi sa cambiare i cuori degli uomini, chi sa cambiare i cuori dei giovani, sa anche cambiare l’inferno, renderlo meno atroce e meno nero.

Francesco De Palma
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