L’Italia e la lotta alla corruzione
La corruzione è il tema dominante degli ultimi mesi, maggiormente riaffiorato in questi giorni con gli sviluppi delle indagini relative a Mafia Capitale. Il nostro paese figura primo tra i 34 Paesi Ocse per percezione della corruzione nelle istituzioni governative e locali, con un incidenza che sfiora il 90%. Il dato è contenuto in una tabella del rapporto Curbing corruption dell’organizzazione parigina, che cita uno studio Gallup secondo il quale la Penisola è seguita a ruota da Portogallo e Grecia.
Il non invidiabile primato di Roma rispecchia i risultati del Corruption perception index 2014 di Transparency International, che lo scorso dicembre collocava il nostro Paese al primo posto in Europa e al 69esimo nel mondo per corruzione percepita. Seppur il fenomeno è largamente noto alla gran parte della popolazione, oggettivamente in tanti ignorano le cause e le diverse forme di manifestazione del fenomeno, nonché le conseguenze della “corruzione”, in termini di costi, di sottrazione di risorse, di rinuncia ad opportunità e, più in generale, di effetti distorsivi per la stessa vita democratica del Paese. E’ un tema spesso caratterizzato da narrazioni troppe volte alimentata da ondate emotive, come accade nei talk show nostrani. Del resto – come sostiene il noto magistrato Raffaele Cantone – “l’abitudine a parlare e fare polemiche senza avere competenza, spesso senza nemmeno conoscere la realtà , è un costume nazionale”.
E’ un agile libro di Cantone, scritto insieme a Gianluca Di Feo e pubblicato da Rizzoli, Il Male Italiano, a aiutarci per non cadere in banali semplificazioni e generalizzazioni. Cantone oltre a spiegarci il complesso “sistema del malaffare italiano”, passato e presente, e a darci chiari ragguagli sulle vicende Expo, Mose, Mafia capitale, sottolinea fortemente che oltre alla repressione e alla prevenzione, “è indispensabile una presa di coscienza della pericolosità del male, del danno che crea a tutti i cittadini, una vera rivoluzione culturale“. Non a caso, Cantone spende buona parte del suo tempio “a parlare di legalità nei convegni o nelle scuole”, con la chiara consapevolezza che i fenomeni criminali non si combattono solo con la polizia e i tribunali. Alcuni dati sono oggettivamente impressionanti: in Italia le opere pubbliche costano circa il 40% in più del dovuto, “una mega tassa per tutti i cittadini”. Si cita l’esempio della metropolitana C di Roma, il cui costo è “già aumentato di 700 milioni di euro”, e l’Alta velocità ferroviaria tra Brescia e Verona “arrivata alla cifra mostruosa di 70 milioni per chilometro”. Cifre di cui tenere conto, specialmente quando si sottolineano ad oltranza i costi per la collettività nel soccorrere e ospitare i profughi che sbarcano nelle nostre coste.
Si avverte una mancanza di tensione a livello politico e burocratico verso la materia della anti-corruzione. E’ decisamente venuta meno quella impressione positiva scaturita dalle inchieste “mani pulite” secondo la quale si voleva dare un taglio ad un passato di corruzione. Non è stato allestito nessun sistema a prova di corruzione. Anzi, si diffonde sempre più un senso di impotenza che riflette forse una assuefazione verso una vera e propria cultura della corruzione, che va dalla spicciola richiesta di denaro sino al condizionamento più elevato. A ciò si aggiunga che oggi “essere onesti” ha in molti casi il risultato di “essere esclusi”. La corruzione – sostiene Cantone – “non è un peccato veniale, ma il peccato capitale della democrazia, perché sgretola le basi della convivenza. Corrode i fondamenti della vita democratica senza che i protagonisti di questo crimine si sentano responsabili. Lo ha scritto persino Jorge Mario Bergoglio, prima di diventare Papa Francesco e di fare di questo tema uno dei cardini del suo pontificato”.
Nel libro sono indicate alcune cause, come la riforma del titolo V della Costituzione che “al di là delle buone intenzioni, ha finito per essere una delle cause principali dell’aumento della corruzione”. Infatti, in un’ottica distorta delle autonomie locali si è sostanzialmente ridotto ogni forma di controllo amministrativo. Molte regioni hanno trasformato l’indipendenza dal potere centrale nell’occasione di fare tutto a piacimento, fuori controllo (come nella famigerata vicenda dei rimborsi elettorali). Inoltre, sono cresciuti i centri di spesa: con il principio di residualità introdotto con la riforma, per cui tutto quello che non fa lo stato è di competenza della regione, ne ha aumentato il potere a dismisura. Sono nate negli ultimi anni strutture d’ogni genere, sovrapponendosi con quelle centrali (si pensi all’esempio clamoroso delle “ambasciate” che tutte le regioni hanno aperto a Roma o in giro per il mondo). Per non parlare della proliferazione delle municipalizzate e delle società miste costruite dagli enti pubblici.
C’è la questione della presenza di troppe leggi, spesso poco chiare. A questo si aggiunga che molte di queste leggi devono essere applicate attraverso l’adozione di regolamenti operativi che nessuno emette e, pertanto, restano inapplicate. Che esista poi un provvedimento chiamato “mille proroghe”, “la dice lunga su un sistema che non funziona”. Cantone si sofferma in particolare su quelle leggi che hanno avuto effetti devastanti, studiate per ostacolare le indagini e i processi anticorruzione come la ex Cirielli sulla prescrizione: “oggi ci sono istruttorie che vengono cancellate dal tempo prima ancora che sia pronunciato qualsiasi giudizio: l’inchiesta finisce nel cestino senza neppure l’incriminazione”, producendo un effetto disastroso e trasmettendo la certezza dell’impunità. Oltre ad auspicare una giustizia civile più efficiente, al fine di prevenire il malaffare si suggeriscono la severa punizione delle false fatture che servono a creare i fondi neri per le tangenti (la retata del Mose prende spunto proprio da questo) e – proposta investigativa rivoluzionaria – la concessione di benefici simili a quelli concessi ai pentiti di mafia, come sconti sulle condanne e soprattutto sulle pene accessorie, garantendo la possibilità di partecipare agli appalti. Quest’ultima proposta nasce dalla consapevolezza che la “corruzione è un reato diverso dagli altri, non ci sono criminali da un lato e vittime pronte a denunciare dall’altro, come avviene nelle rapine e nei furti. Qui invece c’è uno scambio tra due soggetti che hanno entrambi un tornaconto e nessun interesse a far sapere il loro malafatte, per questo servono incentivi che spingono a collaborare”.
La vera rivoluzione è puntare sulla crescita del processo democratico più che sulle sanzioni: “se i cittadini considerano il rispetto delle regole come un valore, il solo fatto di stigmatizzare un comportamento negativo diventa rilevante. Significa porre la questione su un piano etico, cominciando a cambiare mentalità: è la sanzione reputazionale che nei paesi anglosassoni è ritenuta più efficace delle multe e delle condanne penali, mentre da noi è considerata un dato di serie B”. Aggiunge Cantone: “il codice penale sostiene che le tangenti sono reati contro la pubblica amministrazione. Forse è vero dal punto di vista tecnico-giuridico, ma dal punto di vista dell’impatto sociale sono reati contro tutti, anche contro quelli che apparentemente non pensano di subire danni”. E – mi permetto di aggiungere – un reato e un danno devastante contro i più poveri e deboli, come stanno evidenziando le indagini relative a Mafia capitale.
Antonio Salvati
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