Roma e il suo vescovo
Prima del 1870, un inno garibaldino – dal forte tratto anticlericale – sognava Roma capitale d’Italia infine “liberata” dal papa:
«A Roma, a Roma, ci sta un papa
che di soprannome si chiama Pio Nono:
lo butteremo giù dal trono,
di papi in Roma non ne vogliamo più!»
G. Altobelli, Ricostruzione della breccia di Porta Pia, 1870. Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento |
In parte, quell’auspicio s’è avverato: Roma è capitale e il papa non è più re.
Pure, egli è restato a Roma: non più “prigioniero” dei piemontesi, come Pio IX all’indomani di Porta Pia, ma infine libero – nel piccolo Vaticano – e sempre, soprattutto, vescovo dell’Urbe.
Questo aspetto – il papa come vescovo di Roma, che pure non è una novità – è stato uno dei tratti salienti proposti da Bergoglio proprio al momento della sua elezione:
«Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma.[…] E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo
cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità
tutte le Chiese. […] Vi auguro che questo
cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio
Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di
questa città tanto bella!»
In disparte le parole d’esordio, non c’è dubbio che l’interesse e l’amore del papa per la “sua” città, in quest’ultimo anno e soprattutto in quest’ultimo mese, abbiano avuto l’occasione di esprimersi. Nello scorso mese, per ben tre volte: la prima a san Giovanni in Laterano, il 4 giugno, in occasione del Corpus Domini; la seconda dieci giorni dopo, in occasione dell’apertura del convegno diocesano di Roma; infine, in occasione dell’Angelus per la festività dei santi patroni di Roma, Pietro e Paolo.
Sempre, in queste occasioni, parole asciutte ma chiare di preoccupazione per la sorte
«della città che, anche a seguito di alcune ben note vicende, ha bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale. E questo è un compito molto forte. La nostra città deve rinascere […]. [A]bbiamo bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale».
Il papa, evidentemente, è inquieto: per la corruzione che è stata svelata dalle inchieste su Mafia Capitale, ma anche per la percezione – nella vita di Roma – di un senso preoccupante di “orfananza” (orfandad), ripreso in una intervista ad Avvenire da Giuseppe De Rita:
«i giovani hanno bisogno di vedere un padre […] Siamo tutti orfani di un governo della città che non c’è […] Non bastano più parole come legalità, equità. Parole astratte se non si arriva a toccare il cuore […] C’è da ricostruire un’intera classe dirigente. Tocca alla politica offrire un segnale di cambiamento».
Anche se, a dire il vero, l’impressione è che proprio la classe politica – ahimè, quella romana – cui spetterebbe il compito ricostruttivo ora auspicato sia stata finora piuttosto ignara delle responsabilità che porta: tesa piuttosto verso improbabili ricerche di un leader antagonista al sindaco ancora in carica, seppure ogni giorno sottoposto all’immancabile valutazione prognostica sulla durata del suo mandato.
Ha scritto Andrea Riccardi:
«Non che manchino a Roma energie, voglia di fare, brava gente. Ci sono le reti della Chiesa. Ma il mondo romano è in frantumi. Diffidente verso qualcuno che convochi gli altri. Qui non si tratta solo di aggiustare qualche coccio rotto. Ma ci vuole una grande rinascita. […] L’urgenza è tale che le tante energie sane, e di speranza, di Roma devono superare la linea di preoccupata riservatezza che si sono imposte, spaventate dal degrado della scena pubblica. Questo è avvenuto in altri momenti della storia della città. Bisogna aprire una stagione “costituente” per Roma».
Il cardinale vicario Vallini col papa in occasione del convegno diocesano di Roma |
Di questa proposta – apprezzata e definita “interessante” dal cardinal vicario Agostino Vallini in una sua intervista ad Avvenire, la scorsa settimana, sulla nuova “questione romana” – si iniziò a parlare alla fine dello scorso anno, quando l’indagine – ancora definita “mondo di mezzo” – sul malaffare a Roma aveva appena disvelato come la corruzione fosse penetrata davvero in profondità il mondo delle istituzioni, della politica e della stessa cooperazione, trasformandosi in un originale ed inquietante sistema mafioso: dimostrando come fosse stato cinicamente possibile servirsi dei poveri, piuttosto che servirli nei loro bisogni. Anche in quell’occasione, accorate, giunsero le parole di papa Francesco, che in occasione del Te Deum proprose una lunga riflessione in proposito.
Sarebbe bello se questa preoccupazione per le sorti dell’Urbe da parte del suo vescovo si incontrasse finalmente con un movimento di rinascita civile: «vescovo e popolo», disse Bergoglio dalla loggia di san Pietro…
Paolo Sassi
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