FATTI

L’arte secondo Taso. Conversazione con Anastas Kostandini, pittore d’Albania.

Per capire in profondità Anastas Kostandini e apprezzare al meglio il suo spirito creativo, è necessario aver soggiornato un periodo a Pogradec (si pronuncia Pogradetz). Solo dopo aver conosciuto questa cittadina della provincia albanese, ai confini con la Macedonia, sulla riva occidentale dello stupendo lago di Ohrid, si scopre lo spessore dell’uomo e la cifra artistica di “Taso” ( pseudonimo con cui firma i suoi quadri).
Pogradec è il paradigma dell’arte di Kostandini, il luogo dove è nato e dove ha vissuto, il suo rifugio, la fonte di continue e nuove ispirazioni.
Lo studio di Anastas Kostandini (che è anche la sua casa ed è ubicato nel centro storico di Pogradec), pieno di luce, quadri e colori, è un museo dove sono raccolte molte delle sue opere. In questo però non vi è nulla di autocelebrativo. Anastas non è un costruttore di monumenti a sé stesso e al proprio ego.  Ciò non appartiene alla sua indole. L’immagine che egli da di sé è piuttosto quella di un uomo, umile, schivo e gentile; un uomo in ricerca,un servitore fedele e innamorato dell’arte.
Ed è l’arte la vera protagonista del suo lavoro.
Il ruolo dell’artista, per Kostandini, è quello di essere un tramite, un mezzo capace di riflettere e dare forma ad una luce che non proviene da sé. Proprio come può riflettere la luce un antico “specchio rotto”, i cui frammenti di vetro, allo stesso modo di un caleidoscopio, alcune volte trasfigurano la realtà, altre volte la reinterpretano, sempre però in una multiforme sequenza di raggi di luce.
“Specchio Rotto” (Pasqyra e Thyer) è il titolo di una mostra personale che Anastas Kostandini espone in questi giorni a Tirana (dall’11 al 20 di aprile 2016) alla Galerinë FAB (Facoltà di Belle Arti).
Grazie ad un’amicizia personale che ci lega da vari anni, egli non ha avuto nessuna difficoltà a concedermi un po’ del suo tempo per questa conversazione.
F.C.: Vorrei far conoscere a chi ci legge la tua storia. Tu sei nato in Albania, a Pogradec nel 1954, quindi ti sei formato negli anni del regime comunista.  Ti chiederei di parlare un po’ di questo e dell’influenza che ciò ha avuto nella tua vita di uomo e di artista.
Anastas Kostandini: “Non tutta la mia formazione proviene da un’educazione comunista. Il regime, per quanto duro possa essere stato, non poteva sovrastare la famiglia. Posso senz’altro dire che l’influsso più profondo nella mia formazione viene dalla mia famiglia che è un pò la sintesi di tutta la nostra tradizione nazionale e umana. Comunque la mia formazione accademica viene dalle scuole del regime, basate su un sistema di valori ideologico e ateo. Penso che l’educazione ricevuta in

Lo Specchio Rotto

quegli anni aveva tantissimi limiti, ma anche delle opportunità provenienti soprattuto dal rapporto con i singoli professori. C’è da dire che l’educazione artistica non è una disciplina come le altre. I professori che ho incontrato ci trasmettevano la loro educazione che non era avvenuta durante gli anni del regime. La maggior parte di loro si era formata all’estero, spesso in Italia.  In quegli anni sono stati esempi importanti per la mia formazione pittori come Vangiush Mio a cui mi ispiro, il quale, anch’egli, aveva studiato in Italia. Si può dire che le “belle Arti” fossero un’isola felice dove si respirava una maggiore tolleranza rispetto ad altri ambienti più marcati dall’ideologia comunista. Questo almeno fino ad un certo punto.  Perché i vecchi professori furono via via sostituiti con i nuovi formatisi nell’ambito dell’ideologia comunista. Dopo il 1974 si spense ogni fermento, l’arte albanese, al pari dell’intera società si chiuse su sé stessa ed entrò in un lungo periodo di ibernazione. La decadenza dell’arte albanese degli anni ’70 fu segnata – fatto che potrebbe apparire strano, ma per chi conosce la storia dell’Albania non lo è – anche dal divieto di farci vedere le trasmissioni della RAI italiana. Molti di noi avevano allargato i prorpi orizzonti grazie alla televisione italiana, dall’aver avuto la possibilità di vedere, ad esempio, un documentario su Picasso o un qualsiasi altro artista. L’arte deve avere un respiro internazionale. Il ripiegamento su di sé ha sempre prodotto un’arte povera e provinciale”.



F.C.: Mi dicevi poi della formazione che hai ricevuto dalla tua famiglia…
Anastas Kostandini: “Intendevo un tipo di formazione non strutturata ma piuttosto che riguardava gli aspetti intimi della personalità e, forse, per questo maggiormente incisiva. La mia famiglia aveva

Anastas Kostandini – Giorno d’estate a Pogradec

molti rapporti con l’Italia. Mio padre, prima della seconda guerra mondiale, lavorava con una ditta italo-albanese, la “FerrAlba”, che faceva ricerche geologiche; per questo era continuamente in contatto con gli italiani. Nella nostra casa c’erano quadri che riproducevano opere d’arte italiane (ad esempio mi ricordo molto bene di una copia di un Tiziano), ma anche tanti oggetti della vita quotidiana. In una famiglia albanese benestante di quegli anni, avere in casa mobili, quadri e oggetti italiani era un segno di prestigio. Bene tutto questo ha sicuramente avuto una grande influenza nella mia vita e nella mia arte. Aggiungo poi che questo rapporto con l’Italia era vissuto con grande serenità dalla mia famiglia. Io, fin dall’infanzia, ho sentito sempre parlare bene dell’Italia, tanto che ad un certo punto cominciai a pensare che la storia degli italiani nostri nemici con cui eravamo stati in guerra fosse, in realtà, una delle tante leggende proprinateci dal regime”.



F,C,: Rimanendo ancora un po’ al tempo della tua formazione, arriviamo al 1981 quando da giovane promessa dell’arte albanese, ti occupi di uno dei tuoi primi lavori importanti: il mosaico sulla facciata del Museo di Storia Nazionale alla piazza Skanderbeg di Tirana.
Anastas Kostandini: “Si trattò di un’opera collettiva. Fummo selezionati in cinque per realizzare tale progetto. Scelsero cinque giovani artisti senza alcuna esperienza e senza nessuna cultura di arte mosaica. Soprattutto nessuno di noi era stato mai stato fuori dall’Albania. Fu una cosa molto particolare per non dire assurda. Le uniche esperienze che avevamo di mosaici erano alcune immagini, viste in fotografia, delle chiese di Ravenna e della Basilica di S. Marco a Venezia. Il regime spese molto per quell’opera. Le pietre furono acquistate in Italia. Il regime scelse appositamente artisti giovani e senza esperienza. Voleva che quell’opera così importante, che rappresentava la gloria del popolo schipetaro, fosse un’espressione pura dell’albanesità, scevra da ogni influenza esterna. Si voleva un’opera che fosse il simbolo dell’uomo nuovo capace di gettarsi alle spalle ogni incrostazione del passato. Noi giovani artisti fummo scelti proprio perché, agli occhi del regime, rappresentavamo bene questa purezza incorrotta da influenze esterne”.


F.C.: In Albania sei conosciuto come colui che ha riportato nella pittura l’essenza della “piccola vita di provincia”. La provincia albanese è quindi la tua passione, il luogo da dove trai ispirazione.
Anastas Kostandini – Monumento al nulla.
Anastas Kostandini: “Piuttosto che provincia, userei il temine periferia. Si può dire che l’intera Albania è una periferia dell’Europa e del Mondo. Io lavoro e vivo nella periferia della periferia! E questo non signifca necessariamente un fatto negativo. Comunque la vita nelle periferie è profondamente segnata dai limiti imposti dalla mancanza di opportunità e dalla mentalità chiusa della gente. Non sempre in Albania è stato così. Uno dei fatti forse meno negativi del regime comunista era il tentaivo di portare uno sviluppo uniforme, sia al centro, sia nella periferia. Oggi Tutto è cambiato. A Pogradec, ad esempio, si è abbandonato, anche a livello di infrastrutture, tutto ciò che significava sviluppo economico. E’ rimasta una piccola cittadina con un po’ di turismo, nulla di paragonabile al boom che ha avuto Tirana. Si investe molto al centro, portando anche uno sviluppo caotico, abbandonando a sè stessa la periferia. Questo ha influito molto sul carattere degli albanesi. La passione forsennata degli albanesi nel cercare di cogliere tutte le opprotunità in modo dciamo, “verticale”, disinteressandosi di quello che succede alla linea “orizzontale”, finisce per produrre molta aggressività.. Io ho deciso di restare nella mia piccola città, di rifutare questa tendenza e questo spirito iper-competitivo che porta alla violenza. Ho deciso questo perché voglio occuparmi di arte e cerco di farlo al meglio delle mie possibilità. Io non rifiuto l’idea di migliorare o di crescere, ma noto anche che questo modello di sviluppo al quale molti albanesi hanno aderito in modo totale, non fa bene e spesso ha portato molti crimini. Questo è inaccettabile. Oggi cerco di dipingere la poesia e il dramma della povera gente di periferia. Uso questo esempio: io amo molto dipingere i paesaggi, la loro bellezza e la loro poesia, al tempo stesso non posso fare a meno di guardare il terreno dove poggio il mio cavalletto, la sporcizia che e la sofferenza che c’è attorno a me. La mia arte è oggi un mix tra bellezza e denuncia dei problemi; in ogni mia opera cerco di comunicare questa tensione. Abbandono, abuso, perdita di identità e falsità nell’assunzione di nuove identità. Questo per me è intollerabile, io non posso esere parte di questo. Io voglio trasmettere che la vita continua anche nella periferia e che l’abbandono totale non è una cosa buona per la gente. Non è una cosa seria. Non è un modo di vivere.. Al tempo stesso voglio trasmettere anche la poesia e la bellezza di una vita più sobria, più comunitaria ed identitaria.



F.C.: Il titolo della tua mostra personale di questi giorni è “Specchio Rotto”, che poi è l’opera simbolo dell’esposizione (un antico specchio incorniciato, con una crepa in mezzo”). Chi è oggi Anastas Kostandini? E’ quell’antico specchio che ha dovuto rompersi per poter uscire dal convenzionale del già visto e vissuto ed interpretare con altri criteri la complessità del nostro tempo?
Anastas Kostandini: “Specchio Rotto rappresenta la tappa di un cammino che io ho fatto quasi da solo. Dal comunismo in un isolamento totale ad una libertà folle senza regole. Da un’epoca di idealizzazione dell’arte (l’arte veniva idealizzata senza poter essere vissuta), ad un altra epoca in cui l’arte viene subito incontrata e consumata. Oggi è diventato un bisogno personale quello di rivedere la mia educazione. E’ una ricerca personale quella che sto facendo: quella di ricollocare il mio percorso artistico all’interno di una nuova identità. Dopo il ’90 ho rotto tutti gli schemi  (rigidi)all’interno dei quali mi ero formato e, da allora, sono alla continua ricerca di un mio stile personale. Tutto questo è un dialogo con me stesso e con il tempo attuale. Specchio Rotto è il simbolo di tutto questo. E’ lì riflesso del mio personale tentativo di rimettermi in discussione. Tutte le cose reali che interessano a me vengono riflesse come in uno specchio rotto e io queste cose le vedo indirettamente. Io sono stato formato per far vedere la mia arte in modo indiretto attraverso lo specchio dell’ideologia, questo è invece uno specchio personale dove in realtà io vedo me stesso. Questo specchio rotto inconriciato che è il simbolo di questa mostra è uno di quelli che veniva venduto prima della  seconda guerra mondiale, probabilmente di importazione italiana.  Nelle famiglie benestanti albanesi lo specchio era un simbolo di civiltà e di sviluppo. Durante il comunismo alle giovani donne non veniva permesso di stare a lungo allo specchio, quasi fosse una degenerazione verso l’individualismo borghese.
Tiziano nel dipingere gli angeli che portavano gli specchi ha in qualche modo voluto rappresentare il culmine dell’umanità; io con il mio vecchio Specchio Rotto ho voluto provare a condividere. con chi apprezza la mia arte, il mio personale percorso di ricerca interiore.

Francesco Casarelli

Si ringrazia la dott.ssa Entela Luadhi per aver gentilmente fatto da interprete.













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