FATTI

Risvegliare l’utopia dal sonno cui l’ha condannata la cultura dello scarto

Giorni fa papa Francesco si è rivolto ai membri della Pontificia Commissione per l’America Latina con un discorso a braccio centrato sul valore di un’utopia radicata nella memoria e sulla necessità di una trasmissione della fede e della speranza alle nuove generazioni.
Un discorso su cui ritornare. Perché coglie uno stallo del nostro tempo, un girare a vuoto che si traduce tanto in un inaridimento della tensione alla trasformazione della realtà, quanto in

un’incapacità a proporre scenari di speranza e terreni di impegno ai più giovani. Il nostro mondo sonnecchia, rinuncia pigramente a delineare nuovi orizzonti e prospettive d’azione. E’ giunta l’ora di “svegliarlo”, come ha detto sempre papa Bergoglio nel colloquio coi Superiori Generali degli istituti religiosi maschili, di “illuminare il futuro”, di riscoprire la dimensione dell’utopia.

Le nostre società, sorde al richiamo dell’utopia, hanno finito per accettare quel che di ingiusto e di sbagliato ci circonda. Sia nel contesto europeo, invecchiato, conservatore, che si accontenta di un po’ di benessere e di uno sterile lamento sull’altro. Sia in contesti più giovani e dinamici, negli altri continenti, apparentemente così diversi, eppure tanto simili al nostro quando ne condividono l’ideologia del pensiero unico, la difficoltà a concepire un altrove, un altrimenti. 
Certo, la ricerca dell’utopia è stata occasione di tragici errori. In un recente passato si è ritenuto che il suo trionfo valesse il prezzo della violenza. Ma quello cui oggi siamo di fronte è l’abdicazione al sogno, un volare basso che significa dissipazione delle energie della città terrena, mortificazione delle giovani generazioni, tradimento di quella rivoluzione nell’amore che è il messaggio cristiano.
Il richiamo al valore e al senso dell’utopia porta noi credenti, specialmente in questo tempo di Quaresima, alla riscoperta di una dimensione dimenticata, quella del “non ancora”, che un grande teologo ed esegeta, Oscar Cullmann, indicava come secondo polo, insieme al “già”, tra cui si muove ogni comunità cristiana. Mai accontentarsi del “già”, mai rinunciare al “non ancora”, e con esso alla speranza, all’utopia, al cambiamento. 
Ma come procedere a tale recupero della dimensione utopica? Il papa indica due strade, che promettono di essere, se percorse, se attuate, di grande efficacia, di grande prospettiva. La strada di una connessione intergenerazionale e quella di una rivolta dei cuori e delle menti contro la cultura dello scarto. 
“Un’utopia, in un giovane, cresce bene se è accompagnata da memoria e discernimento”, così

papa Francesco. “Il giovane deve ricevere la memoria e radicare la sua utopia in quella memoria, discerner[la] nel presente – i segni dei tempi -; e allora sì l’utopia va avanti, ma radicata nella memoria e nella storia”. E’ il tema, frequente in Bergoglio, dell’incontro fra giovani e anziani, fra ricordo e visione. E in tale incontro che l’utopia si libera delle sue componenti irrealistiche o irrazionali, di ogni possibile deviazione violenta, e si fa passo in avanti comune, di più generazioni. L’utopia non è solo del giovane, ma di tutti: “I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”, dice Gioele.

E poi, la seconda strada: “Al giorno d’oggi, in un’economia al cui centro è il dio denaro e non la persona umana, e che si crea un suo ordine, quel che non è funzionale a tale ordine lo si scarta: i bambini che sono di troppo, gli anziani, la quantità di giovani ai quali è necessario dare lavoro”. Tutti sono assoggettati a un meccanismo disumano che produce “materiale di scarto”, denuncia il papa. La stessa tensione utopica è “anestetizzata” di conseguenza, scartata insieme coi soggetti che ne potrebbero essere portatori. Ma se lo scarto e l’anestesia dell’utopia vanno di pari passo, è vero anche il contrario: il rifiuto della cultura dello scarto è destinato a risvegliare l’utopia. 
C’è un mondo anestetizzato da risvegliare. C’è un cuore anestetizzato da ritrovare. C’è una cultura e una prassi dello scarto da superare. Anche qui tutti insieme, bambini, giovani, anziani, ricchi e poveri. Sarà nel sussulto del “materiale di scarto” umano – quel sussulto che la stessa Quaresima in fondo ci propone, ricordandoci di essere cenere, ma cenere amata e riscattata da Dio – che si potrà vivere un’utopia che darà frutti di futuro e di speranza.

Francesco De Palma
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