20 anni dal genocidio in Rwanda
Effetto lontano delle politiche coloniali belghe – con il loro considerare quelle che erano state solo classi sociali e produttive alla stregua di categorie razziali – e frutto più diretto e immediato di un’insensata e insistita campagna di disprezzo e di odio portata avanti nel paese da politici, giornalisti e militanti locali razzisti, l’uccisione di un milione di tutsi – e di hutu moderati, o semplicemente umani – prende il via la sera stessa (6 aprile 1994) dell’attentato in cui perde la vita il presidente Habyarimana – sia pur ob torto collo alla ricerca di una soluzione di compromesso con la guerriglia del Rwandan Patriotic Front, a leadership tutsi, operante nel nord del paese -.
Prendendo a pretesto quella morte – che in realtà li sbarazzava di una mediazione che avevano avversato con tutte le loro forze – gli estremisti presenti al governo e nell’esercito, le milizie degli Interahamwe (‘Coloro che combattono/attaccano insieme’) e, in maniera più o meno convinta ed entusiasta, una buona fetta della maggioranza hutu della popolazione, varcano il Rubicone della guerra civile e della pulizia etnica e mettono in atto quanto probabilmente già da tempo pianificato, ovvero lo sterminio – e, en passant, la tortura e lo stupro – degli Inyenzi – degli ‘Scarafaggi’, questo il dispregiativo soprannome dei tutsi, in kinyarwanda -.
Ci si permette, per ricordare, per sapere di più, di invitare alla visita del ben fatto sito – www.kigaligenocidememorial.org – del Kigali Memorial Centre, il Museo dell’Olocausto situato nel cuore della capitale rwandese.
Francesco De Palma
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