FATTI

Papa Giovanni XXIII e l’annuncio del Concilio Vaticano II

Ricorre oggi il 56° dell’annuncio fatto da San Giovanni XXXIII nella basilica romana di S. Paolo fuori le Mura, in cui il “papa buono”, a soli tre mesi dall’elezione, rese pubblica la sua intenzione di convocare un concilio ecumenico. Fu una decisione propria del papa della quale era stato messo al corrente  solo il suo segretario personale mons. Capovilla e l’allora Segretario di Stato vaticano, il card. Tardini, al quale il papa, pochi giorni prima, aveva mostrato il testo dell’allocuzione che intendeva pronunciare.

«Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri! Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo Diocesano per l’Urbe, e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale. »
I Cardinali presenti rimasero stupiti per l’annuncio del Concilio ecumenico che, pur essendo nei progetti (mai resi pubblici) dei pontefici precedenti, si era sempre configurato come un’opera che avrebbe richiesto una lunghissima preparazione. L’annuncio imprevisto di una così grande opera, da parte di un papa anziano, apparve a molti un azzardo, per altri un’utopia e per qualcuno addirittura un atto sconsiderato.  Anche fra i collaboratori più stretti, l’opinione prevalente era che per preparare il Concilio sarebbe stato necessario un decennio, ma papa Roncalli fin da subito spinse per una realizzazione rapida e ne fece una sua responsabilità. Come riportato da Andrea Riccardi, quando nell’aula capitolare dell’abbazia di S. Paolo dopo l’annuncio del concilio, i cardinali gli si fecero intorno, – secondo Confalonieri quando il cardinale Canali, bene al corrente della via prescelta dal precedente pontefice, avanzò tra l’impacciato e il curioso la domanda se della preparazione ne verrebbe anche questa volta incaricato il S. Uffizio, “Papa Giovanni ristette un istante, come sorpreso, e poi, con tono di voce tranquilla ma decisa, rispose: presidente del Concilio è il papa” (1).
Giovanni Alberigo ha sottolineato a questo riguardo come Giovanni XXIII abbia dimostrato di aver preso questa decisione storica avendo  “piena coscienza della natura primaziale del suo atto”.  Come dimostrato dall’ “umile risolutezza” sottolineata dallo stesso papa nell’allocuzione citata e come da lui annotato nel suo diario, il “Giornale dell’Anima” dove scrisse che “il concilio ecumenico [è] tutta iniziativa ed in capite giurisdizione “ del papa (2).
Come lo stesso Papa chiarì in seguito, quel 25 gennaio del 1959 Roncalli non aveva ben chiaro in mente il progetto del Concilio e quell’idea non maturò in lui “come il frutto di una prolungata meditazione, ma come il fiore spontaneo di una primavera insperata”. Qualche mese più tardi, nel messaggio al clero veneziano del 29 aprile 1959, aggiunse: “Per l’annunzio del Concilio Ecumenico Noi abbiamo ascoltato un’ispirazione; Noi ne abbiamo considerato la spontaneità, nell’umiltà della nostra anima, come un tocco imprevisto ed inatteso “. 
Fu un atto di fede e di amore per l’umanità per lasciare agire lo Spirito Santo e rinnovare la Chiesa nel suo servizio agli uomini e alle donne, come spiegò al suo segretario, monsignor Capovilla, il quale racconta come il papa gli aveva manifestato la sua intenzione di convocare il Concilio:  «Eravamo in auto, pochi giorni dopo l’elezione.  “Sai – mi disse il papa – gli uomini si riuniscono e si confrontano per aggiornarsi; penso che anche la Chiesa avrebbe bisogno di un aggiornamento, con un Concilio.” Io tacqui. Due giorni dopo, e due giorni dopo ancora, stessa scena. Il papa mi manifestava le sue intenzioni di indire un Concilio, e io tacevo. Finché il Papa sbottò: “Sono tre volte che ti parlo di questa idea e tu resti in silenzio. E io capisco perché: lo imparai quando ero segretario del mio cardinale, Giacomo Maria Radini-Tedeschi. Se non ero d’accordo su qualcosa, tacevo. Ma tu sbagli due volte: perché vuoi troppo bene al Papa e perché sei poco umile. Mi vuoi bene perché vuoi evitarmi figuracce: pensi che se indico ora un Concilio rischio di non riuscire a portarlo a termine e posso fare brutta figura con il mondo; e sei poco umile perché le cose non si fanno per fare bella figura ma per obbedire allo Spirito Santo”. Questo – conclude Capovilla – era papa Giovanni XXIII » (3).
Il 16 maggio dello stesso anno venne nominata la commissione antepreparatoria che iniziò una consultazione generale fra tutti i cardinali, vescovi, congregazioni e superiori generali delle famiglie religiose cattoliche per chiedere suggerimenti sugli argomenti da trattare, mentre il 25 dicembre 1961 il papa firmò la costituzione apostolica “Humanae salutis” con il quale indiceva ufficialmente il concilio.
Infine il 2 febbraio 1962 Giovanni XXIII promulgò il motu proprio Consilium con il quale stabiliva il giorno di apertura dello stesso: l’ 11 ottobre di quello stesso anno. Così, tre anni dopo quel 25 gennaio del 1959 l’umile, ma risoluto proposito di San Giovanni XXIII vide la luce all’interno della basilica di San Pietro in Vaticano con una cerimonia solenne nel quale il papa pronunciò il celebre discorso Gaudet Mater Ecclesia (Gioisce la Madre Chiesa) nel quale indicò quale fosse lo scopo principale del concilio e nel quale ricordò il giorno del suo annuncio: “la prima volta abbiamo concepito questo Concilio nella mente quasi all’improvviso, e in seguito l’abbiamo comunicato con parole semplici davanti al Sacro Collegio dei Padri Cardinali in quel fausto 25 gennaio 1959, festa della Conversione di San Paolo, nella sua Patriarcale Basilica sulla via Ostiense. Gli animi degli astanti furono subito repentinamente commossi, come se brillasse un raggio di luce soprannaturale, e tutti lo trasparirono soavemente sul volto e negli occhi. Nello stesso tempo si accese in tutto il mondo un enorme interesse, e tutti gli uomini cominciarono ad attendere con impazienza la celebrazione del Concilio.”

Marco Peroni
1 – in AAVV Papa Giovanni ,ed Laterza, pag 153
2 – op. cit, pag 213
3 – in Loris Capovilla, I miei anni con Papa Giovanni XXIII, ed. Rizzoli, pag. 106
Marco Peroni
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