FATTI

Kérékou, la scomparsa del “camaleonte”

Anche se il Bénin è un paese piuttosto piccolo, la morte di Mathieu Kérékou – lo scorso 14 ottobre a Cotonou – ha fatto (sommessamente) il giro del grande mondo. Era nato 82 anni fa, nel 1933 (ma qualche fonte sostiene fosse il 1935), in una sperduta regione dell’allora Dahomey francese; aveva frequentato l’accademia militare e poi – era il 1972 – conquistato la carica di leader del giovane paese africano, da poco divenuto indipendente, con un colpo di stato.

Mathieu Kérékou

Aveva condotto in quel periodo il Bénin – patria storica del vudù – lungo i sentieri originali ed aspri del marxismo africano, mantenendo il potere fino al 1989, l’anno della caduta del muro di Berlino e del disfacimento del comunismo internazionale.
Sarebbe stato forse solo uno dei tanti autocrati africani se il suo percorso non avesse incontrato – nel 1990 – quello di Isidore de Souza, arcivescovo cattolico di Cotonou: i due infatti guidarono assieme l’esperienza felice della Conferenza nazionale delle forze vive della nazione, che condusse alla transizione pacifica del Bénin verso la democrazia.
Soprannominato “camaleonte” per la sua grande capacità di adattamento politico, Kérékou ha attraversato da protagonista molte stagioni: la prima, quella di leader autoritario afro-comunista (1972-1990), la seconda, quella di presidente democraticamente eletto per ben due mandati (1996-2006), infine la terza, ritirato eppure dignitoso ed autorevole, come un padre della patria.
Non fu un uomo dal carattere facile, eppure seppe comprendere il cambiamento dei tempi e delle stagioni della storia.
La vicenda di Kérékou e del Bénin è una storia minore ma emblematica: essa è stata raccontata in italiano – seppure in relazione alla figura di Isidore de Souza – in un recente ed interessante libro, Cattolici d’Africa. La nascita della democrazia in Bénin, di Susanna Cannelli:

Bénin, 1982: Kérékou, Giovanni Paolo II e Gantin

«attraverso il percorso di questa storia – ha scritto Andrea Riccardi nella prefazione al volume – si entra nel mondo africano del secondo Novecento, le sue passioni, le sue lotte, i suoi dolori, le sue miseria, ma anche le sue grandezze. Sì, anche grandezze, perché si mostra come , in un paese povero, con tante dipendenze, la democrazia è possibile».

Kérékou accolse Giovanni Paolo II – in occasione del suo primo viaggio in Bénin, nel 1982 – col costume tradizionale ed alzando al cielo il pugno chiuso del militante marxista; quasi trent’anni dopo, in occasione del viaggio di Benedetto XVI, nel 2011, lo stadio di Cotonou riservò all’anziano ex leader ed ex presidente, al momento del suo ingresso tra la folla, ancora entusiasmo e rispetto.
Camaleonte, certo, ma non solo: Mathieu Kérékou non avrebbe potuto conservare così a lungo il suo carisma popolare né essere ricordato con simpatia se non avesse avuto – dalla sua parte – il genio dell’uomo politico che ha scelto, per sé e per il suo paese, di discutere con gli altri e condurre il Bénin verso la democrazia, assumendo quando necessario nuovi compiti e ruoli, ritirandosi dalla scena pubblica quando il suo tempo era ormai scaduto ed accettando che il suo posto lo prendesse un altro: cosa piuttosto rara tra i leader politici, africani e non.

Paolo Sassi

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