FATTI

Selma, Alabama, Edmund Pettus Bridge, 1965-2015

Ieri gli Stati Uniti hanno ricordato in maniera unanime e solenne l’anniversario del Bloody Sunday, che domenica 7 marzo 1965, cinquant’anni fa, rese famosa nel mondo una piccola cittadina dell’Alabama, di nome Selma, nella contea di Dallas.
La memoria civile, negli USA, è evidentemente qualcosa di molto serio: accanto a Barak Obama era presente anche il suo predecessore George W. Bush, che si è unito ai tanti – circa 40.000 – che hanno voluto ricordare uno degli episodi del cammino degli afroamericani sulla strada dei diritti civili.

La memoria del Bloody Sunday a Selma, 7 marzo 2015

Le immagini pacifiche di ieri sono davvero eloquenti del cammino percorso, se confrontate con quelle drammatiche – in bianco e nero – dell’assalto della polizia ai manifestanti di allora, colpevoli di chiedere quello che oggi sembrerebbe davvero scontato: l’eguaglianza di diritti, senza distinzione di origine etnica.
Ancora oggi – è vero – gli Stati Uniti si confrontano con la questione della discriminazione: che assume talora toni tragici, come nel caso del giovane afroamericano ucciso senza apparente motivo dalla polizia nel Wisconsin, ennesimo episodio di violenza a sospetto sfondo razzista. Ma l’amarezza per le zone d’ombra sul presente della società nordamericana non riescono ancora a compromettere la grandezza del risultato di quelle lotte iniziate mezzo secolo fa.

Introducendo il toccante discorso commemorativo di Obama a Selma, John Lewis ieri concludeva:

“Se qualcuno mi avesse detto allora che avremmo avuto un presidente afroamericano e che sarei stato io a introdurre oggi qui il suo discorso, gli avrei detto che era un pazzo”.

Il pestaggio di John Lewis, Selma, 7 marzo 1965

Chissà cosa gli passava per la testa: John Lewis fu immortalato – quell’anno – sotto i manganelli della polizia, mentre ieri stringeva la mano di Obama, e insieme attraversavano il ponte paradossalmente ancora dedicato – come hanno ricordato alcuni – ad Edmund Pettus, un americano del passato remoto, acceso sostenitore della schiavitù, della discriminazione e della disuguaglianza tra bianchi e neri. Quell’uomo, pestato a sangue da altri uomini in divisa – che proteggevano un potere che allora impediva l’eguaglianza tra americani – è oggi deputato al Congresso.
Chissà cosa è passato per la mente ad Amelia Boynton, ultracentenaria, anch’essa picchiata in quel lontano ’65 e ieri tenace testimone – in carrozzina – della forza debole della lotta nonviolenta contro la discriminazione.
Probabilmente, pensavano entrambi a chi non era più con loro – come Martin Luther King – ed a questa loro rivoluzione pacifica, compiuta – come osservavamo su questo blog poco tempo fa, commentando il recente film Selma, dedicato a quei fatti –

“sedendosi per terra, marciando, toccando le coscienze, rifiutandosi di sacrificare al dio dell’odio e della vendetta”.

Paolo Sassi 

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