A Genova, il Museo del Mare, per fare memoria dell’emigrazione italiana (eh sì …)
In questo tempo di ‘psicosi’ – è azzardato definirla così? forse no … sull’immigrazione, mentre in tanti scelgono – o subiscono, per colpa di certa politica e di certi media – una narrazione vittimista di un evento globale, che caratterizza ogni regione ed ogni epoca, per cui “gli immigrati vengono tutti qui”, “questi non vogliono integrarsi”, “quelli vengono a rubare”, “noi non eravamo così quando andavamo in America a lavorare”, è senz’altro utile – oltre alla visione di qualche film su Al Capone – una visita al bellissimo Galata, Museo del Mare, che è a Genova, accanto all’Acquario.
Una parte del Museo, il terzo piano, è dedicata proprio all’emigrazione italiana, nella città in cui – e nella foto d’epoca è ritratto il ponte “dei Mille”, dedicato non a Garibaldi e ai suoi eroi, ma ad altri poveri eroi, le migliaia di emigranti che si imbarcavano da lì per le Americhe – milioni di italiani (sul serio, parliamo di 500.000 partenze l’anno intorno al 1905-10) hanno dovuto lasciare il proprio paese per cercare fortuna oltremare.
La visita a Galata è emozionante. Come leggiamo sul sito del Museo, vi si vuole “far rivivere in prima persona l’esperienza ‘emigrazione’. Il percorso inizia dalla ricostruzione di una casa contadina di metà Ottocento, con le lettere aperte sul tavolo che magnificano la vita nella Merica, la possibilità di sfuggire alla trappola della fame. Il percorso prosegue con la stazione marittima. Il piroscafo chiama i passeggeri e il visitatore conosce i venti emigranti italiani, realmente vissuti, dei quali è stata completamente ricostruita la storia.
Il viaggio nelle viscere della nave finisce con lo sbarco nelle tre destinazioni principali dell’emigrazione italiana: l’Argentina, il Brasile, gli Stati Uniti, con la famosa Ellis Island. E qui il visitatore è ingabbiato nelle sbarre bianche che dirigevano il flusso dei migranti, avviati al controllo sanitario e psicologico. Il tutto ci fa confondere coi volti di altri emigranti, un caleidoscopio di etnie e di popoli, che ci ricorda come Ellis Island, “l’isola delle lacrime” appartenga a tutti i popoli, e non solo agli italiani. Ma anche come tante altre Ellis Island – Lampedusa? – siano oggi sparse per il mondo.
Una memoria che ci salva dal vittimismo e dai luoghi comuni. Che ci rende pensosi e ci fa comprendere meglio ciò che abbiamo davanti. “Sì, è bene non rimuovere dalla memoria tutto questo”, come ha scritto marco Impagliazzo su Avvenire, “‘Bestie da soma’ e ‘iloti’” – coì De Amicis chiama con compassione i suoi, i nostri, connazionali in partenza – “lo siamo stati anche noi. È inutile e dannoso negarlo. Come è inutile ogni negazionismo. Come è dannoso per ogni popolo non fare i conti con il proprio passato, non riflettere su quanto è stato e su quanto sarà, ovvero limitarsi ad essere spettatori indifferenti, o incattiviti, del nostro presente”.
Francesco De Palma
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