Convivenza civile, informazione e rom. Alcune storie esemplari
Il recente drammatico incidente stradale di Roma, in cui è morta la signora filippina Corazon, quarantenne madre di famiglia, è stato seguito da un crescendo di insulti, incitazione alla violenza, aggressività verbale e fisica di cui sono stati oggetto tutti i rom. Non è la prima volta che si rilevano l’involgarimento e la violenza usati in particolare da gruppi populisti o di estrema destra. Giustamente Milena Santerini ha invitato, dopo le elezioni regionali, a tornare a riflettere sul tema del linguaggio politico usato da alcuni partiti e ripresi da vari media, invitando a respingere l’odio sistematico contro una categoria di persone individuata per “razza”, etnia, religione, colore, cultura. Si sa poi che la lingua precede, non solo il pensiero (spesso) ma anche l’azione. E le ruspe arrivano davvero, come è successo recentemente a Roma alla favela di Ponte Mammolo, dove le cronache riferiscono di un preavviso di un quarto d’ora agli abitanti prima di abbattere le baracche. Brutto spettacolo ai confini del pogrom. Quando ci si abitua a sdoganare l’insolenza, l’aggressività e l’ignoranza come ragioni identitarie, niente può più sbalordire e niente può più indignare. Ha ricordato Michele Serra che fino a vent’anni fa a dire che bisogna “radere al suolo” i campi rom era qualche personaggio da bar. Nei bar si diceva (e si dice) anche molto peggio. Ma trasformare la polis in un bar vuol dire non avere alcun rispetto né della polis, né del bar. E acutamente aggiungeva: “La dequalificazione del linguaggio politico, la sua capillare corrosione fa male a tutti indistintamente. Contamina, indebolisce, danneggia, peggiora, incanaglisce: diventa parte integrante del discredito della politica e della classe dirigente”.
«Stiamo aiutando la signora Anna, che è italiana e sta per compiere 83 anni. La tragedia di questa signora è che ha perso tutta la sua famiglia. Noi l’abbiamo conosciuta perché abitava al piano sotto di noi e ogni sera veniva a guardare le telenovele con noi: così è diventata una specie di nonna. Quando è morto suo figlio, ha perso la casa perché non aveva pagato l’affitto. Noi allora abbiamo deciso di non lasciarla sola. L’abbiamo invitata in casa nostra e le abbiamo offerto un letto in cui dormire; vive con noi da 6 mesi. A volte è un po’ difficile aiutare la signora Anna, ma poi ci siamo abituati a lei, e lei a noi, e infatti lei a volte ci fa dei regali per dire che siamo come i suoi nipoti». Aggiunge Georgel: «È come una catena: noi rom di Sant’Egidio siamo stati aiutati dalla Comunità ad andare a scuola, conoscere il mondo, vivere in casa e non per strada. Adesso anche noi possiamo aiutare altri». Anna, da parte sua, mi dice con gli occhi lucidi: «Tre volte al giorno, dopo l’Eterno Riposo per mio figlio, prego per Georgel e per la mia famiglia adottiva».
Antonio Salvati
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