FATTI

Sì, sono loro, quelli del colera!

Qualcuno ha scritto che gli zingari sono il capro espiatorio perfetto.
Lo sono, specie in Italia, a giudicare dalle indagini demoscopiche che ci vedono ai primi posti in Europa in quanto a capacità di disprezzarli, di coalizzarci contro di loro, di fare di tutt’erbe un fascio.
C’entra sicuramente il clima da campagna elettorale più o meno permanente. C’entrano certi politici e certi media. Ma c’entra soprattutto – parere personale, ovviamente – quell’anima chiusa e provinciale che noi italiani sappiamo custodire così bene e che millenni di universalismo imperiale e poi ecclesiale hanno combattuto, scalfito, piegato per qualche tempo, ma non vinto.
Tant’è. Basta ascoltare le trasmissioni radio o tv che danno libero spazio alla pancia di tutti. Colpa delle radio? Colpa delle tv? Forse, senz’altro. Ma colpa anche della pancia, sarà il caso di riconoscerlo ….
Forse ci occorre una bella dieta dimagrante. A tanti di noi, forse a tutti.
Altrimenti ripeteremo ancora per decenni e per secoli quello stupendo (artisticamente parlando) ritratto di villaggio impaurito che tratteggiava Giovanni Verga in uno dei suoi racconti meno conosciuti, ”Quelli del colera”. 

I più acuti lettori di questo blog avranno già capito chi erano “quelli”, per il mondo provinciale siciliano veristicamente interpretato dal grande romanziere, …, sì, un gruppo di sinti, di “camminanti”.

“Dirimpetto, sugli scalini della croce in campo alla strada, c’erano altri in crocchio che guardavano, e parlavano sottovoce fra di loro, col viso scuro. […] Don Ramondo [si] sgola[va] a ripetere: – Niente! Niente! Son poveri commedianti che vanno intorno per buscarsi il pane. Poveri diavoli morti di fame -. La folla nonostante li seguiva mormorando e accavallandosi come un mare. Sulla piazza il Capo Urbano fece anche lui il suo discorsetto: – Via! via! State tranquilli. Sono o non sono il Capo Urbano? – […] La folla cominciava ad ammutinarsi a misura che cresceva. – Cristiani del mondo! Che ci vogliono far morire davvero come bestie nella tana! – Uno, colla faccia stralunata, raccontava come Zanghi avesse acchiappato il male, nella baracca dei commedianti. L’aveva visto lui, coi suoi occhi […]. – Anche comare Barbara! che pur non si era mossa di casa! – E quell’infame Capo Urbano che andava dicendo: – Non è nulla, non è nulla -, e mostrava la carta bianca! Quella era la carta del Sotto Intendente che ordinava di lasciar spargere il colèra! Ah! volevano proprio farli morire come bestie nella tana, cristiani di Dio! […] A un tratto udirono gridare: – Dàlli! dàlli! – e videro la folla inferocita che correva per sbranarli. – Signori miei! siamo poveri diavoli, poveri commedianti che andiamo intorno per buscarci il pane! – Il vecchio annaspava colle mani, per fare intendere le sue ragioni; la donna copriva i figlioletti colle ali, come una chioccia; la giovinetta colle braccia in aria. Arrivò una prima sassata, che fece colare il sangue. Poi un parapiglia, la gente in mucchio accapigliandosi, gli strilli delle vittime, che si udivano più forte. – No! no! non li ammazzate ancora! Vediamo prima se sono innocenti! vediamo prima se portano il colèra! – C’erano pure delle anime buone in quella ressa. – Ma gli altri non volevano intender ragioni: […] In un attimo la baracca fu tutta sottosopra: i burattini, gli scenari, i cenci, la poca paglia fradicia dei sacconi. Poi, dopo che non ebbero più dove frugare, fecero un mucchio d’ogni cosa, e vi appiccarono il fuoco. […] Allora, per non saper che fare, temendo di accostarsi per paura del colèra, li lasciarono lì, fuori del paese, guardati a vista come bestie pericolose. Nessuno chiuse occhio, quella notte, la vigilia di San Giovanni, che c’era un chiaro di luna come di giorno. Tutt’a un tratto, coloro che stavano a guardia, nascosti dietro il muro, videro lo zingaro che s’era avventurato carponi sino alle prime case, razzolando in un mondezzaio. Colà l’uccisero di una schioppettata, senza dirgli neppure: – guàrdati! – Dopo gli trovarono un torsolo di cavolo che ci aveva ancora in pugno, e il petto della camicia tutto gonfio di bucce e frutta marcia. Al rumore, alle grida che si udivano da lontano, tutto il paese fu in piedi subito, e la caccia incominciò. La vecchia fu raggiunta all’argine del fossatello, barcollando sulle gambe stecchite. La giovane dinanzi al carretto, che voleva difendere la sua creatura, come succede anche alle bestie, con certi occhi che facevano paura, e cercava di afferrare le scuri per aria, colle mani insanguinate. Dopo, frugando fra i cenci della carretta, si disse che avevano scovato le pillole del colèra e ogni cosa”. 
Francesco De Palma
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