FATTI

Dopo Parigi

Siamo alle soglie del Natale ed è trascorso poco più di un mese dai tragici fatti di Parigi. Fiumi di parole, di dibattiti hanno accompagnato questi giorni. Spesso la paura ha preso il soppravvento, incrementata da cinismi elettorali molto diffusi in casa nostra, prevalendo sulla ragionevolezza. C’è chi ha addirittura colto l’occasione per continuare a predicare la dissoluzione dell’Unione Europea. In realtà, occorre – crediamo fermamente – sangue freddo nonché competenze per affrontare adeguatamente crisi ed emergenze.  Diversi esperti ed analisti ci hanno aiutato a ricondurci nei giusti termini delle diverse questioni attinenti ai fatti di Parigi al fine di non cadere nella trappola dei terroristi che vogliono istupidirci.

Il terrorismo si fronteggia in diversi modi, non solo sul terreno delle intelligence, della magistratura e delle polizie. Certamente le diplomazie devono presto disinnescare le guerre sanguinosissime nel “Siraq”, cercando di convincere le parti di avere più da perdere che da guadagnare dal proseguimento dei conflitti. Ma c’è un altro fronte importante – decisamente meno devastante ma che ci riguarda da vicino – che è quello che concerne la politica e l’opinione pubblica o meglio dell’opinione pubblicata. Non si tratta di richiedere censure o abiure – come avverte Lucio Caracciolo – per non divenire involontariamente strumento del nemico jihadista. Ma riportare gli avvenimenti nella loro realtà, profondità e problematicità, escludendo ogni deriva razzista e islamofobica: è il vaccino contro la strategia della paura.
In tal senso, sono degne di nota le analisi di Mario Giro che più di tanti ci ha aiutato a comprendere chi fossero i giovani esecutori e protagonisti degli attentati in Francia:  “Giovani di origine musulmana, nati o cresciuti in Occidente, ma anche -e  sempre  di  più- giovani  occidentali. Transitati  per  anonime  periferie,  un  cattivo  rapporto con  la  scuola  e  famiglie  fragili  (non  per forza  povere),  spesso  senza  il  padre,  svuotati  e  alienati, taluni alle prese con la polizia e il carcere, tutti pronti per l’incontro con i reclutatori del jihadismo. Sono  i  figli  di  un’integrazione fallita,  del  disagio  divenuto  violenza.  Sono  anche  figli  nostri,  presi dal nichilismo morale e dalla ricerca di un’avventura. Sono l’obiettivo di reclutatori senza scrupoli”. Esiste, dunque, un problema giovanile. Masse di giovani svuotati in cerca d’identità che ha favorito il proselitismo anche tra coloro che di religioso non hanno nulla: “Cosa di meglio di adolescenti delusi e  arrabbiati  a  cui ricordare  radici  religiose  posticce  (o  offrire  una  neo-identità),  puntando  su  una forma distorta di solidarietà e sui sensi di colpa? Una proposta elementare: scegliere tra il bene e il male”. Non a caso Olivier  Roy  parla  di nichilismo  da  rivolta  giovanile, trattandosi piuttosto  di  islamizzazione  della radicalità  che  di  una  radicalizzazione  dell’islam. Conseguentemente – avverte – il  problema  ce  lo porteremo  dietro  per  lungo  tempo,  oltre  Dae’sh. Occorre quindi farsi carico seriamente e responsabilmente delle problematiche delle nostre società, delle nostre città e in particolar modo delle sue periferie.
Papa Francesco – che da tempo parla di una terza guerra mondiale a pezzi – quotidianamente  ci offre parole preziose per sottrarre il mondo da dinamiche che lo conducono all’autoannientamento. Di fronte alla patologia jihadista, Papa Francesco ha continuato a pregare e a riflettere sullo svelarsi del mistero del male, senza farsi catturare dalle tante polarizzazioni o da chi strumentalizza le disgrazie dei cristiani d’oriente per diffondere sentimenti islamofobici generalizzati. Ha ripetuto più volte che respingere i migranti è “un atto di guerra”, invitando alla pratica delle opere di misericordia corporali (dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi, accogliere gli stranieri). Ma soprattutto con il Giubileo della misericordia ha offerto ai fratelli musulmani una sorta di punto di fuga in un tempo in cui i deliri religiosi diventano terrore. In un mondo lacerato dalla violenza è il momento giusto per lanciare l’offensiva della misericordia, ha detto il segretario di Stato Parolin. Il Papa – ha aggiunto – “vuole che il giubileo serva alle persone per incontrarsi, comprendersi e superare l’odio … La misericordia è anche il più bel nome di Dio per i musulmani, che possono essere coinvolti in questo Anno Santo, come l’ha voluto il Papa”. Con Papa Francesco la misericordia assume anche i caratteri di una categoria geopolitica che rientra nella sua “cultura dell’inclusione” di cui ci offre i tratti ogni giorno. La grande intuizione del Papa è quella di indicare un cammino che vada in direzione contraria a tutte quelle strategie finalizzate a intimidire, umiliare e isolare i musulmani, offrendo un’immagine della convivenza umana caratterizzata dalle dinamiche gratuite del perdono, della riconciliazione tra nemici.

Antonio Salvati

Marco Peroni
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