FATTI

Quei ricordi dolcissimi. Un racconto breve in tempo d’estate.


Ero in aula assieme ad alcuni miei studenti durante una pausa nell’attività didattica.
Loro parlavano del più e del meno  io, sfogliando il giornale, ascoltavo distrattamente le cose che dicevano: la fatica per i prossimi esami, qualche locale buono dove andare con le ragazze, le vacanze estive…
Ad un certo punto, come spesso succede in queste conversazioni disimpegnate in cui da un argomento si passa ad un altro, Martina iniziò a parlare di un “dolce con i pinoli buonissimo” che aveva mangiato la sera prima.
Poiché la passione tutta italiana per il buon cibo inizia da giovanissimi, l’intera conversazione finì per essere monopolizzata dalle specialità gastronomiche e, in particolare, visto che Martina aveva introdotto questo elemento, di quelle che avevano come ingredienti “i pinoli”. Così parlando del pesto alla genovese il cui segreto è nella qualità dl basilico, della “torta della nonna” acquistata presso l’unica pasticceria in Italia dove “la sanno veramente fare”, i pinoli divennero i veri protagonisti della loro discussione. Improvvisamente Valerio esclamò con un tono misto tra l’esaltato e il malinconico: “Mi ricordo da bambino, quando mio nonno mi portava in pineta!  Raccoglievamo assieme i pinoli, poi ci sedevamo, lui prendeva un sasso, mi insegnava a rompere il guscio e me li faceva mangiare… Quant’erano buoni e che nostalgia di quei tempi!”.  E mentre diceva queste parole, sembrava quasi ispirato. Mi venne voglia di intromettermi  in quel discorso e chiesi: “Valerio mi tolga (do sempre del lei ai miei studenti, ritengo sia una forma di rispetto) una curiosità, ma questo senso di nostalgia è rivolto agli anni della sua infanzia, ai pinoli o a che cos’altro?”. Lui mi guardò un po’ stupito della domanda rivoltagli così all’improvviso ma non si sottrasse alla risposta: “No professore, la nostalgia è per mio nonno, per i momenti meravigliosi passati assieme a lui; ora che non c’è più mi mancano moltissimo”.  “E che cosa ti manca di più?”. “Non lo so, non saprei descrivere bene questa sensazione. Non è che con lui facessi cose particolari… Mi mancano la sua presenza, le sue abitudini, il suo modo di ragionare che mi faceva un po’ sorridere, le sue fissazioni… Ogni volta che penso a lui mi sento preso da una grande dolcezza”.
Una grande dolcezza…
Rimasi colpito da questa affermazione, tanto che chiesi agli altri presenti: “Ragazzi, vorrei farvi una domanda, voi però rispondetemi di getto, senza pensarci troppo, così come vi viene… allora ditemi: qual è il ricordo più dolce che avete?”. I ragazzi, uno ad uno, iniziarono a rispondere, elencando varie situazioni, ognuna apparentemente diversa dalle altre. Ma tutte queste situazioni, avevano una componente che li univa: tutti questi ricordi dolcissimi erano legati ad un qualcosa vissuto assieme al proprio nonno o alla propria nonna. Cioè, in realtà, il vero ricordo dolcissimo era legato alla presenza nella propria vita di bambino o di bambina degli anziani della propria famiglia.
Mettendo insieme queste risposte iniziai a ragionare con i miei studenti facendo alcune considerazioni.
“Il vero ruolo dei vecchi nella società e nella famiglia – dissi quasi pensando ad alta voce – è intrinseco alla loro stessa presenza. L’anziano, così com’è, con tutti i suoi limiti dettati dall’età e dal decadimento fisico, è essenziale. Non tanto perché ha esperienza o saggezza e può dare ai giovani i consigli giusti (tra l’altro in questo mondo tecnologizzato e iper veloce questo compito degli anziani è divenuto oramai un retaggio del passato). La presenza degli anziani è decisiva nella formazione delle persone, perché instilla fin da bambini un sentimento essenziale nella nostra vita: la tenerezza. Con la propria debolezza, le proprie fissazioni, il proprio carattere indurito dall’età, ma anche con la propria affettività, il bisogno di dipendere da qualcuno, il gioire per i successi delle persone cui si vuole bene come se fossero i propri successi (o il patire per le loro disgrazie come se fossero le proprie), con tutto ciò l’anziano testimonia un modo di vivere estremamente eversivo in un mondo dominato dalla dittatura del successo personale e dalla competitività. Si gli anziani sono rivoluzionari perché capaci di tenerezza  e, soprattutto, suscitatori di tenerezza. E’ la tenerezza degli anziani che ci permetterà di ritrovare la nostra misura di umanità. Perché quel senso di tenerezza primordiale appreso da bambini grazie alla presenza dei nostri nonni, ce lo porteremo dietro tutta la vita, lo riproporremo di fronte alle situazioni che via, via ci si presenteranno e, quanto più lo manifesteremo, tanto più risulteremo empatici e simpatici. Se la tenerezza rende migliore il mondo, un mondo senza anziani sarebbe un qualcosa di una tristezza e di uno squallore infiniti…”.
I ragazzi, di fronte ai miei ragionamenti, mi guardarono un po’ perplessi e lentamente tornarono al proprio posto per riprendere la lezione.
Non so se capirono tutto quello che volevo dire, non lo so… ma di una cosa ebbi come una strana percezione: qualcuno di loro, ascoltandomi, forse si intenerì.
Francesco Casarelli

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