FATTI

Non puoi fermare il vento. Due parole su Cranio Randagio.

Otto giorni fa è avvenuta la tragica morte del ventiduenne cantante rap romano “Cranio Randagio“; il suo vero nome: Vittorio Andrei. La sua morte ha inevitabilmente suscitato un’ondata di emozioni, sia per la sua giovanissima età, 22 anni, sia per il sospetto che la causa provenga da un mix fatale di alcol e droghe (sembra che l’autopsia abbia escluso eventuali problemi cardiaci o altre cause congenite) assunto durante una festa in un appartamento della zona Balduina a Roma. 
Sui “social”, oltre la disperazione dei suoi fan, non sono mancati, provenienti dal mondo degli adulti, anche giudizi duri, quasi fosse questa una morte annunciata e un po’ cercata, favorita da un ambiente complice e da uno stile di vita “disordinato”.
Oramai l’utilizzo compulsivo dei “social network” ha introdotto l’abitudine a dover commentare tutto, ad avere sempre qualcosa da dire su ogni argomento. Chiunque si sente in dovere di “esprimere la sua opinione” e “giudicare” ogni cosa accada. Sembrano quasi un modo per esorcizzare le proprie paure questi tentativi di voler a tutti i costi trovare una spiegazione, ricercare una causa o una colpa, di fronte a quanto di brutto accade. Non rendendosi spesso conto di fare solo un fastidioso rumore.
Forse, di fronte alla morte, anche una morte così tragica, bisognerebbe recuperare quell’antico senso di pudore e rispetto verso chi non c’è più e la sua famiglia, che si traduce in solidarietà, vicinanza nel dolore e soprattuto in un composto silenzio. 
Era un qualcosa che si poteva evitare? Non si poteva evitare?
A che serve dirlo ora?
La capillare diffusione delle droghe e i rischi che corrono i nostri ragazzi sono reali, è vero. Chi conosce un pò il mondo dei giovani (ma anche il mondo degli adulti non ne è assolutamente esente) sa bene quanto sia drammatica e criminale la diffusione di questo fenomeno. In molti contesti (e lo dico senza alcun moralismo, ma solo come un semplice e crudo dato di realtà) spaccio e consumo, sembrano essere diventati una cosa normale, routinaria e socialmente accettata, perdendo anche quel senso di “trasgressione” che lo aveva accompagnato per decenni.
Tutto ciò esiste e lanciare grida di allarme solo ed esclusivamente in occasione dei tragici eventi, se poi si finge di non vedere quello che accade tutti i giorni, non è utile. Non serve a molto.
E’ solo un vacuo parlare attorno a sè stessi.
Mi interessa invece spendere qualche parola per cercare di capire un po’ di più questo ragazzo dai capelli rasta e i baffi da corsaro, che scriveva versi infuocati e pieni di energia, capaci di scaldare il cuore dei tanti coetanei che lo seguivano.
Mi interessa capirlo perché, molti ragazzi che lo amavano, si identificavano in lui e nelle sue parole, miste di rabbia e di speranza.
Mi interessa capirlo attraverso la sua arte, perché la musica è uno dei canali più importanti, attraverso cui passano la cultura, il vissuto e le emozioni dei giovani.
All’inizio del videoclip di “Petrolio”, uno dei pezzi più famosi di Cranio Randagio e forse il più bello, compare la scritta: “Dedicato a chi… Nonostante tutto… Non ha mai mollato”.
La canzone prosegue con testi potenti, immediati e rabbiosi, accompagnati da una bella base musicale. Il rapper parla di sè, del suo percorso tormentato, del rapporto con l’amata madre che si divideva tra le attenzioni a lui e le preoccupazioni per “l’affitto e la benzina” (visto che era rimasta sola ad occuparsi della famiglia), della difficoltà per un giovane ad emergere in questa società (“…qua la fama è fieno nel fienile e se il fattore arriva infilza col forcone fotte tutte le tue aspettative…”), in questo mondo oppressivo e ingiusto (“Dammi un motivo per restare, per mollare l’ancora qui dove è tutto un detestare cio che l’altro fa; ci hanno oppressi per testare quanto è forte l’anima (…) 
ma quanto può far male dopo anni di battaglie ritornare e ritrovar gli affetti in cenere scura”
).
E’ potente ed efficace la metafora del gabbiano nel refrain: indica quella ripugnante, untuosa e pesante melassa di realismo che opprime i sogni e uccide tutte le ambizioni, contro cui però bisogna lottare, alzando lo sguardo in alto , verso il cielo: “io volerò, io volerò via, come un gabbiano pure se il petrolio mi pesa sul dorso smorzando la scia, io volerò via perché nel cielo c’è molto di più che in questa terra sbranata da gru che in quest’oceano sempre meno blu”
Sono altrettanto belle e piene di speranza le parole finali del pezzo:
 Dammi un motivo per regnare mica una corona
voglio spiccare fra la gente dirgli che funziona
quando dai tutto per qualcosa fino alla psicosi
prima o poi si esulta, te lo giuro si, ci spero ancora
dai spalancami le porte, parlo con te il vero sovrano
di sta roba, quello che ascolta e diffonde
io ho qualcosa di importante da dovervi raccontare
nessun “non ce la farai” vale quanto un “non mollare” 
Ecco, questa canzone dice tanto di Cranio Randagio, un ragazzo, come tanti, con il suo vissuto e le sue fragilità; un ragazzo che, come ha affermato la madre in un’intervista, “ha saputo trasformare in arte le ferite della sua anima”.
Si comprende di più quanto le parole del rapper romano arrivino al cuore di un mondo di giovani, che si sente “tagliato fuori”, quasi scartato, in un tempo di pessimismo in cui, forse, si sa poco parlare loro di sogni, di speranza e di futuro.
Un ragazzo che era presente all’uscita della camera ardente del Policlinico Gemelli, dove era il corpo del giovane cantante, ha affermato in lacrime “Piango per uno che non conoscevo di persona. Vittorio anzi, Cranio Randagio, lo ammiravo, perchè era una persona autentica”. Queste parole mi hanno colpito, perchè indicano un disperato bisogno di autenticità, a cui far riferimento, in questo presente caratterizzato da profondi abissi tra le parole e le azioni, dove sembrano svaniti gli ideali forti e belli per cui vivere e sognare e dove sembrano attualissime le parole di Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”.
Vittorio era un ragazzo del nostro tempo, un figlio di questa nostra società. Incarnava il disagio misto a quell’ansia di riscatto presente in tanti giovani che aspettano risposte e proposte forti, concrete e convincenti.
Francesco Casarelli

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