FATTI

Pronto soccorso, emergenza sovraffollamento e dignità dei malati

Come ricordato in questo blog, l’Annuario statistico italiano dell’ISTAT offre di anno in anno un articolato ritratto dell’Italia e della sua evoluzione e, con il suo apparato di informazioni e dati, costituisce uno strumento importante per orientarsi nella lettura dei fenomeni in atto.

Ci si vuole qui soffermare in particolare sulla situazione delle strutture di pronto soccorso poiché è cronaca di questi giorni l’intasamento segnalato in più parti d’Italia. Nella Capitale sono oltre 100 i pazienti in attesa negli ospedali principali, soprattutto a causa dell’influenza che sarebbe la principale responsabile del collasso dei pronto soccorso. Ma anche in condizioni di normalità, denuncia il sindacato degli infermieri, i reparti di emergenza sono sempre troppo affollati.

È opportuno ricordare, e lo facciamo con le parole Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, che

il nostro sistema sanitario è uno dei pochissimi al mondo a garantire ancora una copertura universalistica, anche se sempre più frammentata

Secondo le rilevazioni contenute nell’ultima edizione dell’Annuario appena pubblicata, nel 2016 si confermano le difficoltà di accesso al pronto soccorso che risulterebbe di difficile accesso per oltre la metà della popolazione italiana. Per l’esattezza il 64,4% delle famiglie residenti nel Sud contro il 49% delle famiglie del Nord-ovest, per una media nazionale del 55,5%.

È utile ripercorrere i valori degli ultimi anni:

Alcune considerazioni che inevitabilmente saltano in mente:

  • la difficoltà di accesso al Pronto Soccorso in Italia non è un’eccezione ma la regola; 
  • la Grande Recessione che ha avuto inizio nel 2007 con lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti non ha causato un peggioramento immediato, tutt’altro; 
  • peggioramento che si nota, invece, negli ultimi tre anni.
Secondo il Tribunale per i diritti del malato – Cittadinanzattiva, che ha presentato due settimane fa la sua relazione basata su 21.500 segnalazioni, i maggiori disagi si registrano nell’emergenza. Si tratta soprattutto di lunghe attese (45,3%) e di assegnazione del triage non trasparente (40,5%, +15% rispetto al 2014). Ai cittadini che ricorrono al Pronto Soccorso, insomma, sembra spesso di aspettare troppo, anche perché ben poche strutture spiegano come viene assegnato il codice e ancora meno quelle dotate di monitor per indicare i tempi di attesa per codice di priorità.

Anche i ricoveri sono problematici per il 23,8% delle persone che hanno effettuato una segnalazione: il 45% di queste reputa di aver “subito” il rifiuto del ricovero perché ritenuto inappropriato dal personale medico o per tagli ai servizi, mentre un altro 20% giudica inadeguato il reparto di ricovero.

Scrive Carlo Picozza su Repubblica:

Chi è costretto a ricorrere alle cure del Pronto soccorso rischia anche di non uscirne vivo. Mancano letti, personale, l’organizzazione e, sempre più spesso, la pietà per chi non ha modo di difendersi.
In ottobre il giornalista Patrizio Cairoli scrisse alla ministra Lorenzin per denunciare la mancanza di privacy nei confronti del padre, morto al San Camillo dopo un’agonia lunga 56 ore. Prima, a una ultranovantenne in barella che chiedeva una padella è stato risposto che poteva anche farsela addosso. I familiari la portarono via per farle riequilibrare i valori elettrolitici. Si rivolsero a una clinica mettendo mano al portafogli. Quel Pronto soccorso diventa uno snodo per il rinvio ai privati. Era il 16 dicembre scorso, quando a un altro paziente è stato trattato allo stesso modo, senza compassione. Anche lui, a morire, è stato portato in una clinica. «Almeno se n’è andato con dignità», dice un suo congiunto,«circondato dall’affetto di figli e nipoti; in coma e in barella, nel Pronto soccorso del San Camillo, è stato una decina di ore, digiuno, senza bere, vestito, senza lenzuola e alla nostra richiesta di avere una coperta ci è stato risposto che quello non era un hotel ». In coma e in barella: gli era stato assegnato un codice verde, insomma, non sarebbe stato in pericolo di morte. «Anche se», continua il familiare, «un medico ci aveva annunciato, perentorio: “Inutile che vi agitate, da qui non esce vivo”».

Il diritto ad essere curato in maniera appropriata ed in condizioni dignitose non può diventare un privilegio.

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