FATTI

Inquinamento da “haters”


Hater. Colui che odia. Gli anglicismi fanno sempre più parte del nostro parlare, soprattutto nel mondo dell’informazione. Nella politica, nella tecnologia, nello sport, ma anche per descrivere fenomeni sociali o anche, purtroppo, asociali come in questo caso. Haters sono stati definiti coloro che, soprattutto celandosi nell’anonimato della rete, riempiono lo spazio riservato ai commenti e i social di commenti  caratterizzati da un odio violento e immotivato, se mai si potesse trovare un motivo valido per odiare. Non un atto episodico, ma un atteggiamento costante di disprezzo e provocazione quasi per il gusto, un po’ piromane, di avvelenare le discussioni. Per qualcuno potremmo ipotizzare che sia una forma di esibizionismo, per altri è certamente un calcolo politico. Le espressioni violente che leggiamo, nella cronaca di questi giorni, nel linguaggio politico nel sud Italia non sono diverse da quelle ascoltate in passato provenienti dal nord della nostra penisola. L’agente inquinante, una volta liberato e sparso nel terreno, concorre a creare come una “terra dei fuochi” i cui frutti avvelenati non tardano a manifestarsi sotto le più diverse forme e in cui i più giovani, come per l’inquinamento, rischiano di più le conseguenze nefaste. 
Non è solo la politica ad avere responsabilità nello “sdoganamento” dell’aggressività verbale, ma c’è un fenomeno di emulazione che trova nella rete un facile veicolo per la prepotenza dell’ego.  Se una diffusa chat fra gli adolescenti è risultata facilitante il linguaggio violento perché i messaggi poi si autodistruggono dopo pochi secondi, è da notare anche che c’è chi ha volutamente investito sull’odio ideando la Hater App che ti fa trovare, a detta dei promotori, amici fra quelli che odiano le stesse persone che tu odii. 
Attenzione, l’odio è un agente pericoloso da maneggiare, soprattutto quando, sdoganato come abbiamo appena detto in alcune sue declinazioni, sembra non dover più essere causa di vergogna nel provarlo e nelle azioni che provoca. Il grave episodio dei due lavoratori aggrediti a Roma dal “branco” di giovani, in cui ha subito gravi lesioni un bengalese di 27 anni, non è che un amara dimostrazione dei frutti amari di un terreno avvelenato dall’odio.  Come reagire ? Si può pensare che è “assurdo” o che è molto “grave”, ma come davanti all’inquinamento è facile finire poi per chiudere la finestra accontentandosi della propria condanna e non sentendo la responsabilità di una risposta che ci coinvolga.  Non basta, anche a livello istituzionale, qualche dichiarazione di condanna. Serve un antidoto al veleno dell’odio, che produca azioni opposte. Per questo segnalo la notizia riguardante la visita al bengalese ferito in ospedale fatta da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, accompagnato da Daniela Pompei, responsabile dei servizi all’immigrazione della Comunità. Un gesto concreto di solidarietà e vicinanza, semplice come è semplice purtroppo anche odiare, ma che sembra dirci che non possiamo lasciar passare l’odio davanti a noi come un fenomeno che non ci riguarda. Possiamo invece essere protagonisti di un nuovo fenomeno sociologico, opposto e contrario a quello degli haters. Il nome per questo fenomeno contrario non è importante, ma tutti possiamo viverlo e diffonderlo.
Marco Peroni
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