40 anni dal Movimento del ’77 …
Sono passati 40 anni dal Movimento studentesco del 1977. Il prossimo anno saranno 50 dalla stagione contestativa e rivoluzionaria che ha rappresentato il cosiddetto «’68», in particolar modo nel mondo della scuola e delle università.
A seguito degli anni caldi della contestazione post-sessantottina, molti dei protagonisti avevano trovato il loro ruolo nella politica attiva o, comunque, si erano “sistemati”, avevano un loro ruolo nella società. Ma, qualcuno non aveva trovato una sua collocazione e non era soddisfatto della società post-sessantottina che s’era realizzata.
Rimaneva una minoranza che, pur partecipando attivamente ai momenti elettorali, non trova una collocazione né politica, tantomeno partecipativa nelle manifestazioni pubbliche.
La nuova generazione studentesca che entrava negli studi superiori nei primi anni ’70, mostrava una disaffezione alla partecipazione politica attiva. Questa disaffezione colpiva anche la politica italiana in generale: il tasso di astensionismo nelle elezioni di quel periodo era molto alto.
Nei primi anni ’70 diminuisce anche la fiducia negli effetti rivoluzionari che il «’68» aveva prodotto nella società, tanto che molti giovani di quegli anni ignorano o rifiutano l’eredità del «’68». La quota partecipativa dei giovani alla politica è tra le più basse d’Europa (si stima che fosse intorno al 5%).
Disaffezione, delusione, sfiducia negli effetti di un impegno politico attivo e una critica a priori di ogni proposta che esce dalla società è lo scenario che la politica attiva deve affrontare negli anni ’70.
I giovani vivono una sorta di “orfananza”, cioè manca una spinta dalla base perché si possa riproporre la spinta rivoluzionata che ha favorito la nascita del movimento sessantottino.
Alcuni parlano di una caduta di tensione intellettuale: si semplifica tutto per non doversi sforzare nel capire, interpretare e calarsi nei problemi e nei contesti evitando, così, di doversi impegnare in prima persona per un ideale, anche a costo di scivolare in una forma di qualunquismo.
In questi anni gli slogan non erano sostenuti da battaglie sociali, mancava un retroterra culturale che potesse alimentare motivazioni per una nuova protesta.
La Federazione dei Giovani Comunisti Italiani prova a creare una convergenza su obiettivi reali, concreti: la riforma della scuola; l’allargamento della base produttiva per facilitare l’accesso dei giovani nel mondo del lavoro; il miglioramento delle condizioni di lavoro; l’attuazione di misure per l’abolizione del lavoro nero.
In concreto, la stagione della contestazione studentesca troverà il suo culmine (ma anche la sua conclusione) nel 1977, con una nuova mobilitazione universitaria.
Questa volta, si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano, nasce e termina nel nostro paese. In particolare, la protesta prende corpo a Roma, con il pretesto di contestare e fermare la riforma della scuola presentata dal ministro della Pubblica Istruzione, Franco Malfatti. Ma questo episodio, fu solo la scintilla perché il malcontento presente nella società e fino ad allora sopito, si incanalasse fino ad alimentare l’azione dimostrativa e talvolta violenta di Autonomia Operaia.
Lo sviluppo del nuovo movimento di contestazione studentesca avrà due tendenze. La prima ha origini spontanee, tende a creare strutture alternative piuttosto che sfidare il potere precostituito. Sono di questi anni il fenomeno degli “Indiani metropolitani”, che si contraddistinguevano per i loro look alternativi. Il loro ideale era fermare l’industrializzazione della società.
La seconda faccia del movimento è più violenta, autonoma, quasi militarizzata. Essa ha la pretesa di formare strutture speciali per organizzare una lotta organizzata contro lo stato. In un simile contesto nascono e si si sviluppano organizzazioni come “Potere Operaio”, di Toni Negri.
Nel 1977, la mobilitazione studentesca subirà un’involuzione: avrà un volto negativo, a tratti irrazionale e, come detto, incapace di avanzare proposte per alimentare una protesta.
Non esiste più lo slogan “Immaginazione al potere”, ma l’immaginazione ora serviva per distruggere il potere.
Una rilettura a posteriori della stagione, parla del «’77» come il funerale del «’68», con la fine delle illusioni di un mondo nuovo, diverso da quello precostituito.
Nonostante la natura “provinciale” del movimento, comunque, esso riuscirà a dare frutti: si parlerà per la prima volta del sentimento di gratuità nel fare qualcosa per gli altri, impegnarsi concretamente per ottenere dei risultati tangibili. Il volontariato è l’espressione concreta che inizia a prendere corpo, con l’idea di voler fare qualcosa di importante per sé e per gli altri: migliorare le condizioni degli emarginati dalla società, salvare l’ambiente dall’industrializzazione selvaggia, bloccare la continua corsa agli armamenti.
Una novità del movimento del «’77» è nella partecipazione di massa alle manifestazioni e agli scioperi: se il ’68 poteva essere considerato un fenomeno di elite, nato da studenti di scuole borghesi, nell’esperienza degli anni ’70 investe tutta la realtà sociale, e quindi, anche quella del mondo del lavoro.
Dalla battaglia per lo studio, per una qualità migliore in generale, si passa ad una lotta contro la scuola di classe. E il movimento studentesco assume il carattere di organizzazione politica, che avrà un carattere antiistituzionale, extraparlamentare, cercando e trovando un legame con le forze operaie, i quali sfrutteranno la situazione per diversificare ed indirizzare la protesta verso problemi più concreti, dei lavoratori.
Il Movimento studentesco, così, otterrà una nuova partecipazione, ma non trovando sbocchi nella democrazia diretta, girerà lo sguardo verso le organizzazioni extraparlamentari alle quali proverà a legarsi. Questa scelta porterà al fenomeno citato da Paolo Benedetti di portare “Le masse alla politica e la politica alle masse”. Ma in questo processo di inclusione delle problematiche degli operai e dei lavoratori, il Movimento Studentesco perderà la sua identità, la specificità dei motivi per cui s’era mobilitato, annullandosi completamente nei problemi della classe operaia.
Germano Baldazzi
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