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Residenze sanitarie per anziani: luoghi di cura o di internamento?

Sono passati quasi due mesi dall’ordinanza con cui l’attale governo ripristinava l’accesso ai visitatori nelle strutture (Rsa, case di riposo, cliniche) dove sono ricoverati gli anziani fragili, ma ad oggi non si è ancora liberi di far loro visita. Vigono regolamenti stretti e diversi per ogni struttura, così gli anziani ricoverati sono tuttora isolati.

Le recenti osservazioni espresse dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, invitano ad un supplemento di riflessione.

Mauro Palma è il referente per il rispetto dei diritti verso le persone recluse. Ad essi, sono stati equiparati anche i ricoverati nelle strutture socio-sanitarie. Infatti, all’insorgere del Nuovo Coronavirus, si sono verificati tantissimi casi tra i ricoverati nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa). Agli anziani – per oltre sedici mesi – è stato impedito ogni contatto esterno: sia di uscire seppur brevemente dalla clinica, sia di ricevere visite di parenti o amici. Sono state sospese persino le funzioni religiose e le visite specialistiche.

Purtroppo, più volte è stato detto e ribadito che, la limitazione della libertà di uscita non abbia impedito che il contagio entrasse negli istituti, portato dal personale delle strutture, o dai fornitori che hanno avuto accesso senza adoperare particolari attenzioni…

Un’anziana in Rsa

Le Rsa negli ultimi decenni, gli istituti, le cliniche sono state la risposta preferenziale all’indebolimento del corpo e alla perdita delle capacità di vivere a casa propria. Per qualcuno, la scelta dell’istituto era considerato un valido salvagente per non cadere nell’isolamento sociale. Invece, essi sono divenuti luoghi di internamento, con un regime in stile “carcere duro” e senza deroghe: non entrava e non usciva nessuno! Tranne i morti per coronavirus…

I dati registrati dall’Istat di questo “geronticidio” tra le mura degli istituti sono terribili: nei primi mesi del 2020, l’85% dei decessi per Coronavirus avveniva tra chi aveva più di 70 anni, il 56% aveva più di 80 anni).

Le vittime del Covid in stragrande maggioranza vivevano in istituto. A seguito di questa evidenza, il ministro della Salute Roberto Speranza ha istituito una Commissione per riformare il sistema socio-sanitario per la Terza Età. In particolare, ha designato Mons. Vincenzo Paglia per presiedere la Commissione e ha coinvolto illustri studiosi e giuristi. Offrono il loro contributo e la loro conoscenza Andrea Urbani e Gianni Rezza, Direttori Generali del Ministero della Salute, Silvio Brusaferro e Paola Di Giulio, Presidente e Vicepresidente dell’Istituto Superiore di Sanità; Velia Bruno, Maite Carpio, Edith Bruck, Simonetta Agnello Horby, Mario Barbagallo, Gianpiero Dalla Zuanna, Nerina Dirindin, Giuseppe Liotta, Paolo Vineis, e il giurista Alessandro Pajno.

La Commissione, in un comunicato del 3 febbraio scorso, ha delineato il suo impegno e ha centrato le criticità da affrontare. In particolare, il problema che molti anziani terminano i propri giorni lontano dagli affetti e dalle proprie cose, dai luoghi conosciuti e privati, quindi, anche dei ricordi in un tempo di estrema debolezza.

Dal comunicato, reso pubblico dal Presidente della Commissione possiamo leggere, tra l’altro:

La Commissione sente la necessità di ribadire con forza alcune importanti questioni: la pandemia ha rivelato, come abbiamo più volte sostenuto, sostanziali fragilità di sistema che sono alla base della strage di anziani e dei più deboli. È ora di compiere un salto ed un passaggio culturale di grande importanza: il COVID-19 ci ha insegnato che il territorio è decisivo, che le case delle persone anziane sono il teatro vero della battaglia per una sanità diversa, leggera, proattiva, che non aspetta i pazienti comodamente seduta al riparo delle istituzioni, ma li cerca e si muove verso di esse”.

(Stanza degli abbracci – Foto la Repubblica)

E prosegue:

Sentiamo la necessità di un servizio sanitario che sappia offrire l’intero spettro dei servizi, da quelli di rete e prossimità, di lotta alla solitudine e di prevenzione, a interventi domiciliari di sostegno sociale e sanitario continuativo, alla semi-residenzialità in centri diurni, fino alla residenze sanitarie e assistenziali in grado di offrire sempre elevati standard qualitativi, avendo in mente interventi riabilitativi e terapeutici con l’obiettivo di far tornare a casa, ove è possibile, i pazienti anziani. Il Recovery plan sarà l’occasione per muoversi verso questa sanità centrata sul paziente e sulle sue necessità”.

Ora che stiamo uscendo dalla fase più acuta e problematica della pandemia, grazie alla meticolosa quando essenziale opera di vaccinazione a tappeto, il problema più grave da affrontare è come rompere l’isolamento degli anziani ricoverati.

La stragrande maggioranza di essi non vede un parente, un conoscente o un volontario da oltre 16 mesi!

Stiamo uscendo dalla fase critica della pandemia grazie alle vaccinazioni a tappeto, si diceva. Ora si tratta di compiere un passo ulteriore, di riavvicinare e riavvicinarsi agli anziani negli istituti. Per molti può trattarsi di un ultimo estremo saluto, ma hanno ancora tanto da dare e da chiedere alla vita. Inoltre, ci sono anche diversi desideri che sono stati sepolti dal dramma di questo tempo: piccole cose che possono dar sapore ad una vita, pur fragile o dolorante

Ma, chi ascolta più questi desideri, se nessuno può incontrare queste donne e uomini fragili, si, ma vivi e vegeti?

Nei film di una volta anche in alcune famose pellicole, quando un anziano, un nonno stava per morire tutti si fermavano e si mettevano in ascolto delle ultime parole, come fossero un lascito, quasi un testamento. Ci si faceva al capezzale per salutare, confortare o ad ascoltare…

Ma, oggi? Dobbiamo tornare ad ascoltare, a raccogliere l’eredità, salutare e consolare un morente.

Tragico e ancor più triste è morire da soli! Si nega l’ultima consolazione, abbraccio: un ultimo gesto di affetto che può significare molto in un simile momento!

Eppure, non è ancora possibile. E non è previsto che persone guarite – o vaccinate – possano uscire anche solo per poco tempo, per andare a prendere un gelato, o magari partecipare ad una funzione religiosa.

Le limitazioni alla libertà personale sono plausibili in caso di rischio di vita o di pericoli incombenti. Ma, a questo punto, come giustificare un regime carcerario di massima sicurezza, negando libertà personali, come rivedere i nipoti?

Analogamente, per chi non ha più parenti e prima del lockdown non riceveva visite, se non da qualche volontario o ministro di culto, perchè non permettere una loro visita?

È stato dimostrato che l’isolamento forzoso abbrevia la vita e la rende qualitativamente peggiore. Eppure, condanniamo ad un’altra pena chi ha scampato il virus.

Speriamo che la Commissione creata dal Ministro della Salute Roberto Speranza abbia buon gioco ed ottenga presto la riapertura di questi luoghi di detenzione impropri, perché ogni minuto di vita può essere, anzi, è molto più importante!

Negli ultimi mesi in particolare tanti osservatori si sono chiesti, anche in maniera retorica se usciremo migliori da questo lungo periodo di pandemia.

Una risposta che ho recentemente ascoltato, e che voglio condividere, è stata: si, possiamo uscire migliori dalla pandemia, ma non senza gli anziani!

Perché, non dimentichiamolo, ognuno di noi è un potenziale anziano…

Germano Baldazzi

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