FATTI

“Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la non-violenza sono antiche come le montagne”

È una delle espressioni più conosciute di Mohandas Karamchand Gandhi, scomparso esattamente 70 anni fa, assassinato da un fanatico dell’induismo radicale.
Il Mahatma nacque a Portbandar, in India, nel 1869. Erano gli anni della colonizzazione britannica, iniziata pochi anni prima grazie ad una penetrazione commerciale operata dalla Compagnia delle Indie che, in poco tempo, profuse la sua influenza anche nelle vicende politiche, tanto da assumere l’amministrazione governativa del paese, a spese dei diversi sovrani che controllavano le diverse regioni del paese. Sovrani, che, spesso, erano in conflitto tra di loro.
Gandhi, fin da giovane, sentiva l’occupazione opprimente, vedendo le umiliazioni e il trattamento da inferiori che veniva riservato alla sua gente, da parte degli inglesi.
Ottenne il permesso dai genitori di studiare all’estero e andò in Inghilterra per laurearsi in legge. 

In pochi anni ottenne la laurea e divenne un avvocato.
Conclusi gli studi, tornò in patria per poi migrare in Sudafrica, in cerca di occupazione.
Anche il Sudafrica, in quegli anni viveva la condizione di stato coloniale e, anche la popolazione sudafricana, era vessata e discriminata dai bianchi.
Ben presto, oltre a lavorare, Gandhi iniziò a studiare e a mettere a punto la sua “Teoria e pratica del metodo della non-violenza” .
Nella sua elaborazione, utilizzava quelli che lui definiva “esperimenti con la verità”: la sua vita era piena di questi esperimenti.
Uno dei suoi principali propositi era quello di trasformare la politica in etica politica, anche se non si può affermare che Gandhi sia stato un vero e proprio uomo politico. Nel suo agire Gandhi si avvaleva di “imperativi” etici per delineare il suo ruolo e la sua figura in Sudafrica – prima – e in India – poi. 
Il 29 gennaio del 1948, un giorno prima che venisse ucciso, Gandhi, in un momento di preghiera, disse alla folla:  «Se muoio d’una malattia lunga, se muoio per qualche cosa come un foruncolo o una pustoletta, sarà vostro dovere proclamare al mondo, anche a rischio che la gente si adiri con voi, che non ero l’uomo di Dio che pretendevo di essere. Se lo farete darete pace al mio spirito. Prendete nota anche di questo: se qualcuno dovesse porre fine alla mia vita trapassandomi con una pallottola ed io la ricevessi senza un gemito ed esalassi l’ultimo respiro invocando il nome di Dio, allora soltanto giustificherete la mia pretesa» 
In particolare negli ultimi anni della sua vita e, successivamente, dopo la sua uccisione, Gandhi fu considerato un “santo” che aveva dedicato la sua vita nobilitando e difendendo i valori umani, adoperandosi per questo anche in politica.
In Europa si diffuse la fama, per alcuni era considerato un “eccentrico” per il suo stile di vita, ma, in realtà, i giudizi convergono in un giudizio che sintetizza due caratteristiche molto diverse: quelle di uomo unico, carico di bontà e di grandezza nella sua semplicità, a tratti disarmante.
Gandhi intraprese diverse lotte nel corso della sua vita applicando la sua dottrina della “lotta non violenta”, o meglio, del “satyagraha” .
Gandhi era anche un grande uomo di preghiera, e questo aiuta molto a comprendere la sua grande opera. Lui era molto legato alla pratica della preghiera perché “la preghiera mi ha salvato la vita. Senza di essa, sarei pazzo da molto tempo. Ho avuto la mia porzione delle più amare esperienze pubbliche e private, che mi gettarono in una temporanea disperazione. Se riuscii a liberarmi da questa disperazione, fu grazie alla preghiera”.
Gandhi aveva una concezione di Dio diversa da quella dei cristiani. La sua egli era un indù, nato e cresciuto in un mondo culturale asiatico, anche se ha compiuto gli studi anche in Europa.
Per lui Dio è verità, amore, etica, morale, coraggio, mentre per i cristiani, Dio è “Via, verità, vita e la via è seguire Gesù, uniformarsi a lui”.
Gandhi era un uomo che ha vissuto nella storia del suo tempo, è stato un “cercatore”, ma non solo per sé stesso, viveva dell’amore per gli uomini.
Non tutti sanno che Gandhi in una occasione venne a Roma, infatti, di ritorno da Londra, dopo aver partecipato ad una Tavola Rotonda sul futuro dell’India – con esiti fallimentari, per gli interessi indiani – attraversò l’Italia, e fece tappa a Roma per due giorni .
Era il 1931, Mussolini aveva già preso il potere. Si incontrarono informalmente per un colloquio di circa venti minuti, evitando di trattare argomenti “caldi”. 

L’interesse che spinse Gandhi a incontrare Mussolini fu specificamente la curiosità verso la sua persona e non tanto la ricerca di un alleato in chiave anti-britannica. Ma, nonostante l’incontro e il colloquio, per il Mahatma, il Duce rimase personaggio enigmatico. In lui, Gandhi apprezzava le riforme sociali introdotte dal fascismo, ma sentiva che il Duce aveva una intrinseca violenza, che percepiva già ascoltando il suo linguaggio che utilizzava.
Alla base del metodo nonviolento di Gandhi vi era la convinzione di poter dialogare con chiunque e di poter convertire con l’amore anche il peggior nemico.
L’incontro cercato e realizzato per soddisfare una reciproca curiosità, senza doppi fini politici, però, portò un grave danno all’immagine di Gandhi, a causa del “Giornale d’Italia” il quale pubblicò una fantomatica intervista che attribuiva a Gandhi idee decisamente bellicose nei confronti di Londra.
Il Mahatma smentì prontamente e dichiarò di non essere mai stato interpellato, ma l’intervista fu ripresa dal Times e fece molto scalpore in Inghilterra, a tal punto che, al suo ritorno in India, venne arrestato.
Le sue armi di lotta da sempre sono state la non violenza e la preghiera, unite alla pratica di un digiuno rigorosissimo – che utilizzava anche per una purificazione personale -, la povertà e il silenzio. Il silenzio era uno strumento per esercitare l’autocontrollo, favoriva la ricerca del giusto valore delle parole, frenando la lingua e meditando prima di proferire alcunché.
Gandhi ebbe modo di vedere l’indipendenza del suo paese, che giunse l’anno precedente alla sua uccisione: l’operato e il pensiero del Mahatma molto hanno preparato ed influito per il raggiungimento della libertà della sua gente. Ma non partecipò ai festeggiamenti: era già lontano, alle prese con un altro “fronte” di lotta.
Era in corso la divisione tra musulmani e hindu, che erano entrati in guerra tra loro, e Gandhi soffrì molto per questo.
Era stata operata, all’epoca dell’indipendenza, una vera “vivisezione” dell’India – così la chiamava Gandhi  .
Infatti, si separavano dall’iniziale paese, alcune regioni a nord del Pakistan che, in anni successivi, andranno a creare lo stato del Bangladesh, ma la separazione non fu indolore perché fu una cesura improvvisa e mal preparata. Scoppiarono, così, disordini e scontri in diverse regioni, causando centinaia e centinaia di migliaia di profughi, gente in cerca di una nuova terra. La divisione non aveva previsto il problema degli spostamenti delle popolazioni. Gandhi intervenne nuovamente con la sua arma del digiuno nel tentativo di far cessare gli scontri.
Erano stati stabiliti e siglati dei patti tra queste nuove entità politiche e Gandhi, seppure non fosse sicuro della regolarità o della giustizia di quanto raggiunto, volle comunque che li si rispettassero. Così fu pure per la divisione delle risorse economiche, motivo per il quale, probabilmente, si perpetrò la decisione di uccidere il Mahatma.
Gandhi per l’India ha rappresentato l’anima del paese che con lui aveva ottenuto l’indipendenza dalla Regno Unito, senza spargimenti di sangue, inoltre, tutto il suo esempio aveva favorito la nascita di un pensiero non violento a livello internazionale migliorando, così, i rapporti tra i popoli.

Germano Baldazzi

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