FATTI

Gli studenti americani verso un nuovo ’68?

Nel 2018 ricorre il 50° anniversario dell’anno centrale della contestazione studentesca. Per convenzione di usa chiamare con l’espressione “’68” la stagione in cui ebbero inizio cambiamenti nelle scuole, università, ma anche nelle società civile.
Negli Stati Uniti, in particolare, il movimento di contestazione iniziò da prima.
Gli studenti non erano avulsi dalla vita e dalla politica del paese in cui vivevano, anzi erano soliti prendere posizione in maniera molto decisa.
Nel 1964, gli studenti delle università più altolocate ed in vista iniziarono a simpatizzare e a discutere del movimento pacifista, e lo collegavano a quello per i diritti civili.
Per la storia politica americana il 1964 segnò la svolta: era l’anno del coinvolgimento nel conflitto tra Vietnam del Sud e del Nord, che si trasformò, così, in una vera e propria guerra.
Gli studenti presto manifestarono il rifiuto alla guerra in Vietnam, come all’imperialismo americano; Berkeley fu la prima università a muoversi e ad essere occupata per protesta.
Si voleva pure impedire che il Ministero della Difesa americano potesse utilizzare le conoscenze universitarie per sviluppare la ricerca e la produzione di nuove armi per la guerra in Vietnam.
Per gli studenti, passare da una lotta sociale ad una vera contestazione di sapore politico, fu un passo breve da compiere. Infatti, le diverse anime del movimento studentesco iniziarono ad accusare di imperialismo il governo che aveva scelto di fare la guerra in un paese così lontano dagli interessi americani, tanto da farla apparire “inutile”, oltre che “ingiusta”.
Il movimento voleva un mondo libero e pacifico, e ignorava i modelli tradizionali di vita imposti da politica, religione e scuola. Era interessata all’uguaglianza, era infastidita dall’imborghesimento generale, come da un modo di governare autoritario e militarizzato.
Insomma, si stava sviluppando un movimento composito, che aveva delle idee ben definite e dei traguardi ambiziosi: la fine della segregazione razziale, l’uscita dalla guerra in Vietnam, ma anche la richiesta di avere più libertà nella società. Si svilupparono, infatti il movimento femminista e quello degli hippy, con scelte e finalità naturalmente diverse, ma trovarono spazio e fortuna in quegli stessi anni.
In poco tempo, la contestazione giungerà anche in Europa e in Giappone, assumendo anche nuove forme e diversi risultati, di cui scriveremo a parte.
Nei giorni scorsi, alcuni quotidiani ed agenzie di stampa, registrando i sempre più numerosi fatti di sangue recentemente occorsi in tanti paesi degli USA, dovuti ad una libera e talvolta capillare diffusione di armi, non solo di difesa, ma anche da guerra, hanno registrato una maggiore insofferenza di tanti cittadini che si sentono sempre più indifesi, di fronte ad una così libera diffusione e possibile utilizzo. 

Spesso, tra le vittime ci sono numerosi giovani, colpiti e uccisi da persone malate, fanatiche che si introducevano nelle scuole facendo fuoco alla cieca, uccidendo senza remore chiunque si trovi di fronte.
Di fronte ai numerosi episodi di questo genere registrati nel tempo, è nata una sorta di movimento per chiedere la limitazione della diffusione di armi, che ad oggi è pressoché libera.
Negli USA vi è una potentissima lobby delle armi e una fiorente economia, che sono difficili da intaccare. Ma, alcuni giorni fa, sono state registrate diverse manifestazioni di studenti contro la diffusione delle armi, in quasi tutti gli stati, coinvolgendo migliaia di istituti, anche senza un vero e proprio coordinamento nella protesta.
Si contano circa 3000 istituti che abbiamo preso parte a questa nuova mobilitazione.
I ragazzi, per dare più risalto alla loro protesta hanno utilizzato i social media, di cui sono grandi esperti e fruitori, dandone un immediato risalto mondiale.
Così, foto, slogan, discorsi, interventi sono rimbalzati sui più frequentati social. In particolare, il più utilizzato sembra essere Snapchat, ma anche Facebook e Twitter hanno avuto la loro parte nella diffusione della protesta.
Nei messaggi postati vi sono le foto dei cartelli con cui marciavano i ragazzi nelle città americane. Una delle frasi più utilizzate era “enough is enough”, cioè, quando è troppo è troppo, e, di seguito “se gli adulti hanno fallito adesso tocca a noi”!
Queste manifestazioni, anche semplici nei modi ed estremamente pacifiche, hanno portato gli osservatori ad avanzare l’ipotesi a cinquanta anni dal movimento del ’68, oggi sia venuto il tempo in cui i giovani tornino a lottare per guadagnare, costruire un mondo migliore in cui vivere.

Germano Baldazzi

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