FATTI

E’ sempre il tempo delle parole …

Di questi tempi non è bello vedere, sulla copertina di un libro, un viadotto che crolla all’arrivo del treno. E In questi giorni è piuttosto inquietante pensare al sequestro di decine di persone allo scopo di ottenere un piccolo guadagno mediatico. 
Ma, tranquilli, stiamo parlando di un reportage-inchiesta che non ha nulla a che vedere con il ponte sul Polcevera o con la “Diciotti”. Il libro è “I Soldati delle parole”, del giornalista olandese Frank Westerman, un epigono del grande Kapuscinski, il cavalcavia che crolla è quello del dialogo, i sequestratori sono degli sconosciuti esponenti di un terrore che oggi ci sembra all’acqua di rose. 
“I Soldati delle parole” parte dal terrorismo che non ti aspetti. Non quello che ci ossessiona dall’11 settembre; non quella guerriglia urbana che il 40° anniversario del caso Moro ha risvegliato nella memoria di chi già guardava la tv, all’epoca. Bensì una vicenda dimenticata, per quanto tragica, quella dei Molucchesi del sud che negli anni Settanta sequestravano treni e prendevano ostaggi in scuole, consolati e uffici governativi della pacifica Olanda, già madrepatria coloniale di un’Indonesia da cui le Molucche del Sud – appunto – volevano secedere. E chi lo sapeva che pure quella regione aveva rivendicato l’indipendenza?
Da quell’evento minore sul piano storico – ma ovviamente grave e terribile per chi ne fu coinvolto – il giornalista avvia un reportage che è avvincente come un romanzo e ha la forza di un saggio (è pubblicato da Iperborea, 252 pp.). Per chiedersi: cosa possono le parole di fronte alla violenza? se trattativa e armi si sfidano, chi vince? 
“Le grandi domande sono domande semplici”, dichiara Westerman. “Per citarne una: le parole possono controbattere il terrore? Così, per prima cosa, mi rifaccio alle mie esperienze personali, alla mia infanzia. Avevo 11 anni quando il mio insegnante di tecnica non si è presentato in classe: quel giorno si trovava su un treno sequestrato pochi km fuori dalla mia cittadina, con il conducente ucciso e gettato fuori dal treno e i pendolari tenuti come ostaggi. Lui era su quel treno. Non come passeggero. Era uno dei sequestratori”.
I Molucchesi del sud, figli dell’élite dell’esercito coloniale olandese, si erano sentiti traditi dal paese per cui i loro padri avevano versato il sangue (e ucciso). Le loro famiglie erano state alloggiate per anni nell’ex campo di concentramento di Westerbork, lo stesso da cui i nazisti avevano deportato più di 100000 ebrei olandesi. Dei giovani pieni di risentimento, trascinati da un idealismo cieco, daranno vita alla breve stagione terroristica dei Paesi Bassi. 
Di quella stagione Westerman ha intervistato i protagonisti, mediatori, poliziotti, ostaggi, passanti, terroristi. La sua inchiesta, che alterna sapientemente narrazione e riflessione, che mischia i tempi delle varie azioni terroristiche, che confronta l’Olanda dell’altro ieri, con la Russia presa di mira dal terrorismo ceceno, con la Francia ostaggio di quello jihadista, cerca, tra passaggi e paralleli, di capire come e quanto si può trattare. Di comprendere il valore e i tempi della parola. 

“I soldati delle parole” non ci dà una risposta definitiva, ma suggerisce come la radicalizzazione dei giovani Molucchesi del sud abbia potuto essere combattuta attraverso una lunga e tenace strategia di integrazione (successiva agli atti terroristici). E allora torniamo all’immagine sulla copertina del volume: il viadotto sta crollando; e forse verrà un tempo in cui le parole saranno, se non inutili, scarsamente efficaci; perché aspettare? il momento in cui parlare è ora. Possiamo essere tutti noi – dobbiamo esserlo – “i soldati delle parole”. Possiamo essere noi – dovremmo esserlo – a spegnere la benzina dell’estremismo e della radicalizzazione con l’acqua della parola. 

Francesco De Palma
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