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La normalità del male

Alla trasmissione condotta da Corrado Augias “Quante storie”, è stato presentato il libro della professoressa e criminologa Isabella Merzagora dal titolo “La normalità del male”.
Il dialogo condotto da Corrado Augias con l’autrice ha focalizzato diversi punti molto interessanti, entrando nel merito del pensiero e della vita di persone che venendo da una vita normale, si trasformano in responsabili di massacri, per poi rientrare nel ruolo della vita condotta fino a quel momento.
Un volume che si pone diverse domande, provando ad ipotizzare con il ragionamento, alcune risposte, senza scivolare in pretesti o nella tentazione di giustificare gli autori degli efferati crimini. Alla trasmissione partecipano anche un gruppo di studentesse del Liceo in Scienze Umane di Aversa. 


Corrado Augias: Noi oggi tratteremo un argomento enorme. Fortunatamente ci assiste un’autorevole accademica, una professoressa che ha studiato molto l’argomento perché oggi rischieremmo di perderci. La prima domanda è: quanta parte di male c’è in ognuno di noi come individuo?
Nasciamo tutti dal mito negativo, omicida del fratricidio, quindi una parte di male c’è. Ma quanta parte di male c’è, non in un singolo individuo, ma in un popolo?
Quali condizioni ci vogliono, si devono verificare perché quella parte di male in un individuo, o in un popolo, si manifesti, divengano azione manifesta, criminale individuale o collettiva?
Sono le domande che rivolgeremo alla Prof.ssa Elisabetta Merzagora.
Il volume “La normalità del male” che fa eco al titolo del libro di Hanna Arendt “La banalità del male”, è molto inquietante. Io vorrei che lei cominciasse commentando il video della violenza compiuta da alcuni giovani a quel povero anziano, debole di mente.
È stato un gesto che ha molto impressionato. Una delle risposte quasi giustificatorie che uno dei ragazzi ha dato è stata: “Sa, in questo paese ci sono solo bar”. Lei che è criminologa, che risposta può dare?

Merzagora: La risposta data da quel giovane è in chiave defensionale, quanto superficiale. Il fatto di avere solo bar nel paese non solo non giustifica, ma non spiega. È abbastanza probabile che la deprivazione culturale aiuti episodi in cui si ritiene che per passare il tempo, si possa danneggiare gli altri, si possa essere completamente sordi a qualche trasporto empatico e chiedersi: “Ma questo sta soffrendo, ma che gli sto facendo?” Ed è l’essenza del male, cioè il non sapersi identificare nell’altro.

Corrado Augias: Io posso dare una spiegazione supplementare, forse complementare, di tipo diverso: sono venute meno tante cose. Le strutture sociali che in qualche modo tenevano insieme dei gruppi di giovani: le sezioni dei partiti che una certa azione educativa la portavano; le parrocchie che una certa educazione di stampo fideistico la facevano; circoli ricreativi, sportivi, associazioni di ogni tipo che servivano a contenere, perché ciascuno di noi per non far uscire il mister Hide che si nasconde in ognuno di noi, abbiamo bisogno di stare dentro ad una struttura che ci aiuti a corazzarci. È così?

Isabella Merzagora: L’osservazione è tutt’altro che ingenua, ma importante. Intanto c’è l’unione con altri che, in qualche modo, ci aiutano a non sentirci soli, non superflui. Eppoi, mi ha citato i luoghi aggregativi, luoghi dove c’erano anche degli ideali, potevi condividerli o meno, ma erano il collante, la ragione di essere. I ragazzi in questione danno l’idea di non avere questo piedistallo di ideale. Senza questo riferimento di gruppo, ideale e sociale, c’è solitudine. La mancanza di un gruppo come persone, di un gruppo come ideali, può essere se non una causa, ma un fattore importante.

Studentesse del liceo di Scienze Umane di Aversa: Spesse volte ci si chiede se non sia la mancanza di pensiero che ci spinga a fare del male perché è il pensiero che non porta l’uomo ad essere razionale; infatti, ci si chiede anche se sia la mancanza di cultura che porta a compiere determinati gesti. Se pensiamo alla Germania nazista, i regimi totalitari erano sostenuti da persone molto colte.

Corrado Augias: Lei ha citato il caso della Germania nazista ed è il tema centrale, il tema portante del volume. Alcuni anni fa, è uscito il libro dello scrittore americano Daniel Goldhagen, dal titolo “I volenterosi carnefici di Hitler”, che suscitò molte polemiche, dove si diceva che Hitler aveva potuto organizzare con il suo staff l’orrore che ha fatto, perché era appoggiato da un sentimento prevalente, o largamente condiviso dal paese. È così?

Isabella Merzagora: Intanto, ritornando al discorso della cultura: essa, intesa come erudizione, non ripara. Tante volte non ripara neanche la cultura in senso più ampio, perché sia durante il nazismo che in anni precedenti, personaggi illustri in Germania, paese che era all’apice del pensiero filosofico, intellettuale, erano fortemente antisemiti. Quindi, da sola la cultura sicuramente non aiuta ed essa non va confusa con l’erudizione, non basta un titolo di studio per ripararci, ma, comunque è un valore in sé, può aiutare. Infatti, per esempio, il libro di Goldhagen e, in piccolo quello che presentiamo oggi, fanno pensare a cose atroci che sono successe, a cui magari è un po’ che non pensiamo, e magari ci fanno riflettere, a come fare in modo che non succedano ancora.

Corrado Augias: Al processo che si tenne in Israele al criminale nazista Adolf Eichmann, colui che era stato l’organizzatore aziendale impeccabile, che ha mandato alla morte centinaia di migliaia di persone, ad un certo punto il Procuratore gli chiede: “Ma perché lei ha fatto questo”. La risposta di Eichmann: “Si, io ero partecipe di quello che accadeva, ero un idealista, ma ricevevo ordini: mi sono occupato della questione ebraica per idealismo quando erano in gioco valori costruttivi, ma non quando diventarono distruttivi”. Lui diceva di ricevere ordini e che era un piccolo ingranaggio in una macchina gigantesca e mostruosa. Cercò invano così di salvarsi la testa!

Isabella Merzagora: È stata anche la difesa di molti gerarchi nazisti al processo di Norimberga: “Non potevo che rispondere ‘Jawohl’. Per qualcuno dei militari poteva anche essere stato, però, ci sono diverse considerazioni da fare. Questo rifugiarsi nell’obbedienza serve molto alla “deresposabilizzazione”: “Non è colpa mia, mi davano degli ordini”. Che è, poi, una delle strategie di Eichmann, il quale però, quando fu intervistato in Argentina, prima della sua cattura, aveva mostrato un’adesione entusiasta alle idee hitleriane. In realtà, tanti processi, quello di Norimberga, quelli di denazificazione, in 45 anni gli avvocati difensori non sono mai riusciti a dimostrare un solo caso in cui la disobbedienza all’ordine di massacro – e stiamo parlando del caso di uccidere la donna con il bambino in braccio che è davanti – abbia comportato qualche provvedimento molto pesante, quale la pena di morte, o altro… Al massimo, dovevano andare a combattere, cosa che facevano tutti i tedeschi. Quindi, se nessun avvocato difensore è riuscito a dimostrarlo, forse non basta l’obbedienza!

Corrado Augias: “Forse non basta l’obbedienza”, dice. Diversi anni fa, negli anni ’60 all’Università di Yale, negli USA, è stato compiuto un esperimento dallo psicologo Stanley Milgram, dove un testimone volontario ha accettato di partecipare ad alcuni test di memoria, di sedicente valore scientifico: un uomo è seduto in una stanza ed è incaricato di leggere le domande. In una seconda stanza vi è un altro uomo che viene legato e, al braccio sinistro, gli infilano un braccialetto elettrico, mediante il quale, ad ogni risposta sbagliata che fornirà, subirà una scossa elettrica. Più volte sbaglia, più violenta è la scossa. L’uomo che legge le domande è anche colui che, ad ogni risposta sbagliata, dovrà infliggere la scossa. Le grida sono registrate e l’uomo è un attore. Il vero soggetto dell’esperimento è proprio l’esaminatore. Con grande stupore dei ricercatori, il 62% dei partecipanti ha obbedito agli ordini ed ha somministrato le scosse elettriche di intensità crescente. Questo documento di più di 50 anni fa è ancora valido, è terrificante!

Isabella Merzagora: Io credo che più che l’obbedienza, più che l’autorità, qui si tratti dell’autorevolezza di colui che impartisce il compito: si trovavano in una grande università, c’erano persone con il camice bianco e uno che faceva lo scienziato… Questo è abbastanza importante, perché può aiutare a spiegare un’altra attività, oltre allo sterminio di ebrei, di sinti e di rom: essa può spiegare in parte anche lo sterminio dei disabili. Il personale medico e gli “assassini da tavolino”, cioè, tutti coloro che hanno pianificato il massacro, hanno ucciso in Germania e nei territori occupati, tra i 70 e i 90 mila disabili, più 5mila bambini. Alcuni di costoro, sottoposti a processo, hanno ovviamente addotto la giustificazione defensionale degli ordini da eseguire e, mi ha colpito, uno all’interrogatorio ammise che “…l’ambiente emanava una tale autorevolezza. C’erano dei professori, se loro pensavano fosse giusto, allora forse lo era!”. Oltre a questo, bisogna fare anche un discorso di ideologia. Quando Eichmann dice: “Io sono un’idealista”, è una sorta di idealismo andato a male, però sostenuto da una ideologia, perché dovevano dire che c’erano dei nemici e che costoro avrebbero messo a repentaglio l’intero stato ed ogni buon cittadino doveva difendere lo stato, la sua famiglia, i suoi figli. A questo punto, lo sterminio diventava un dovere, anziché un orrore. Per questo parlo di “idealismo andato a male”, una perversione dell’idealismo, perversione dello statuto medico, nel caso dello sterminio dei disabili. 

Una studentessa domanda: “Davanti a ciò viene da chiedersi dove si trova l’umanità di queste persone di fronte al compimento di questi stermini, dove si trova la loro sensibilità?”

Corrado Augias risponde: La loro sensibilità è camuffata dietro ad un ideale, ad una scusa, a un richiamo di ordine superiore alla eventuale sofferenza inflitta a dei disgraziati. Pensiamo al processo che si è tenuto contro Karadzic – il massacratore di Srebrenica – condannato in secondo grado all’ergastolo per i crimini compiuti nel corso della guerra che, dal 1992 al 1995, costò oltre 100mila morti. Per i giudici dell’Aia, Karadzic fu lo stratega che, a colpi di pulizia etnica, pianificò le pagine più buie di quel conflitto: l’assedio di Sarajevo e l’eccidio di Srebrenica, dove 8mila musulmani, uomini e adolescenti furono trucidati dalle sue forze serbo-bosniache. Quegli 8mila musulmani furono trucidati perché tali, da quel fanatico che si professava cristiano ortodosso; diceva che per interesse e un bene superiore, quei musulmani andavano sterminati. Il criminale dice: “Io l’ho fatto per un interesse, un’ideale superiore.

Isabella Merzagora: Si, e anche per una difesa che diventa “legittima”, in questo caso. Un altro elemento, fra gli altri, è il cosiddetto “controantropomorfismo” (di cui parlava Milgram n.d.s.), cioè, gli altri non sono più umani come me, sono meno, sono demoni perché mi minacciano, sono bestie – infatti tante volte li si chiama con appellativi di animali -, o dei pidocchi, quindi insetti, nemmeno animali. Sono qualcuno che ci contagia. L’elemento è: “Non sono umani come noi”.

Corrado Augias: C’è un appello molto importante, firmato – tra gli altri – da Andrea Giardina, Liliana Segre, Andrea Camilleri, per ridare importanza allo studio della storia all’interno dei corsi scolastici di vario livello, dopo il ridimensionamento della prova di Storia all’esame di maturità e l’avvenuta riduzione delle ore d’insegnamento nelle scuole. Chiedono che venga ripristinata la prova scritta di Storia all’esame di Stato, di aumentare nuovamente le ore di insegnamento della storia recentemente tagliate, ed ampliare la ricerca storica anche per i giovani ricercatori delle università. Perché, questi studiosi affermano che: 
“Ignorare la nostra Storia vuol dire smarrire sé stessi, la nostra nazione, l’Europa e il mondo”. 

Una studentessa chiede: Come mai, in questo periodo, a causa del diffondersi delle moderne tecnologie, la banalità del male può essere ancora più banale, perché non ha un volto, e le persone è come se fossero ancora di meno persone, perdessero la loro identità.

Isabella Merzagora: La storia. Rispondo, citando George Santayana “Chi non conosce a storia è destinata a ripeterla”. Una conclusione potremmo darla citando un errore di Cesare Lombroso, quando dice che “I criminali non sono più nostri simili”, perché, alla fine, in nuce di tutto questo, del nazismo, della criminalità di interi popoli, anche della criminalità più artigianale, c’è proprio l’idea di distinguere “Noi” e gli “Altri”, dove la distinzione non è per quello che facciamo o per quello che decidiamo di fare, ma per come si è”.

Corrado Augias: queste parole vanno a suggello di queste parole e di questo libro, “La normalità del male”, nel quale si mette in luce quello che generalmente è in ombra, cioè, quanto basta poco per trasformare ognuno di noi in un criminale. Quindi, freni, paratie, socialità, ideali giusti.

Un libro scritto molto bene, documentato e chiaro che mette al centro della sua riflessione forse il crimine più grave della storia moderna dell’uomo. Un crimine che l’autrice prova a spiegare nel suo lavoro in parte con le seguenti parole: “…il motivo più convincente per spiegare le trascorse atrocità e il fatto che persone comuni le abbiano commesse è da individuarsi nell’altrismo, nella distinzione fra “noi” e “loro”. Come se la diversità fosse la vera causa dei delitti anche i più atroci. 

Germano Baldazzi

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