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“Home to go”, il Calvario e l’approdo del migrante.

Alla Galleria Nazionale d’Arte di Tirana, in questi giorni c’è stata un’interessante esposizione di alcuni lavori di Adrian Paci.
Nato a Scutari il 28 gennaio 1969 e attivo a Milano dove vive e lavora, Adrian è uno degli esponenti più geniali ed eclettici dell’arte contemporanea albanese.
Una parte importante del suo lavoro è dedicato al tema della migrazione (esperienza che lui ha vissuto in prima persona) intesa come abbandono delle proprie radici e lotta quotidiana per affrontare la nuova realtà che si ha di fronte.
Il vissuto di perdita e lo spaesamento sono una costante delle sue opere dedicate a questo tema.
Nella sua esposizione tiranese (dal titolo “Prova”), tra i lavori esposti colpisce la scultura “Home to go”, raffigurata nella foto.
Un uomo in cammino, affaticato, porta il tetto di una casa (la sua?) sulle spalle.
C’è solo il tetto, mancano le fondamenta, come a ricordare lo sradicamento di chi è costretto a partire dalla propria terra, alla ricerca di un futuro migliore. La casa c’è, sarà sempre con te. E’ la tua famiglia, la tua gente, il tuo vissuto. Ma è una casa senza pareti, esposta alle intemperie. E’ una casa che non ti protegge più. Sopravvive nei tuoi ricordi e rende ancora più pesante e struggente la tua solitudine.
Il tetto è rovesciato, ricorda un’imbarcazione. E’ un richiamo ai “viaggi della speranza” che finiscono in naufragi; questi viaggi terribili che hanno trasformato il Mar Mediterraneo in un grande cimitero per i migranti.
La posa dell’uomo è volutamente, al tempo stesso, drammatica e mitologica.
Ciò racchiude un duplice significato: il Calvario e l’approdo.
Si allude sia a Cristo curvo sotto il peso della Croce che affronta il suo destino andando verso il Calvario (la sofferenza e la morte nei pericolosi viaggi), sia all’approdo di Enea (archetipo  del rifugiato che fugge dalla guerra e affronta un travagliato viaggio in mare) in una terra sicura, con il carico del vecchio padre Anchise (i genitori anziani rappresentano il nostro simbolico tetto).
La figura del migrante tocca gli aspetti più profondi del nostro vivere.
Ci ricorda la precarietà della nostra esistenza, la lotta per la sopravvivenza, la fuga per mettersi in salvo quando le condizioni diventano drammatiche.
Ma il migrante è anche una figura che provoca chi vive in una situazione di sazietà a motivo del proprio benessere. E’ lo specchio di cosa potremmo diventare se, all’improvviso, tutte le nostre certezze andassero in frantumi. Anche da questa paura nascono i sentimenti di ostilità.
Possiamo rifiutare questa dimensione innalzando muri (mentali prima ancora che materiali), ma non possiamo prescindere dal fatto che il mettersi in viaggio verso destinazioni più sicure appartiene al patrimonio genetico di ogni uomo e di ogni donna.
Per questo è necessario mettersi in discussione e cercare di comprendere.
I lavori di Adrian Paci su questo tema, come ogni espressione artistica di alto livello, rappresentano allora un’imperdibile occasione di riflessione e incontro. 
 
Francesco Casarelli
 
 
La fotografia è stata scattata dall’autore dell’articolo.

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