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“No memory, no future”

“No memory, no future” è il titolo dell’incontro promosso dai Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio, con Lea Polgar, testimone e vittima dell’antisemitismo e della discriminazione con la promulgazione delle leggi razziali del 1938. Lea non è stata deportata, si è salvata perché è stata nascosta con la sua famiglia, da diverse persone buone: sì, perché qualcuno, nonostante l’incubo delle leggi razziali e le minacce del regime fascista, ha mantenuto un po’ di bene in sé e nelle sue azioni, nascondendo e salvando tanti perseguitati.

Lea, con parole semplici, appassionate e cariche di significato, conquista subito l’attenzione di circa 1500 giovani presenti al Teatro Brancaccio, studenti di circa 30 istituti secondari di 1° e 2° grado di Roma, accompagnati dai loro professori.

I Giovani per la Pace raccontano di essere tornati da un pellegrinaggio ad Auschwitz-Birkenau, per vedere, toccare con mano il luogo della deportazione e dello sterminio perpetrato dai nazisti. Dopo la visione del video del viaggio, il racconto è proseguito con una constatazione: ancora oggi tanti episodi di razzismo, odio ed antisemitismo si verificano ancora in Italia. I giovani, alcuni dei quali seduti in cerchio attorno a Lea, dicono già all’inizio dell’incontro, di aver compreso che “coloro che non hanno memoria del passato sono condannati a ripeterlo”.

Oggi Lea ha 87 anni e vive a Roma, ma al tempo della promulgazione delle Leggi, con la sua famiglia, viveva a Fiume ed aveva solo 5 anni. La sua vita cambiò improvvisamente: la sua famiglia fino ad allora benestante, viveva in una bella casa nel centro di Fiume, città italiana, in quegl’anni. Il padre, un giorno tornò a casa dicendo di aver perso il suo lavoro di avvocato. Le persone non li salutavano più per strada, tutti si comportavano come se fossero improvvisamente divenuti invisibili. Poco tempo dopo, un ufficiale venne a dire che la loro casa era desiderata da un gerarca fascista e loro dovevano andarsene, così la famiglia Polgar decise di riparare a Roma: era settembre 1939.

A Roma, la vita era difficile, la famiglia Polgar viveva ritirata, lontano dal centro e, comunque, discriminati in quanto ebrei. Racconta episodi di vita da bambina spesso impaurita, ed inizia la scuola: e i suoi primi rapporti, spesso inficiati dal razzismo che era permeato nella società, non sono sempre semplici, e anche i bambini non erano più tutti uguali. Racconta di come la bidella pulisse il bagno subito dopo che lei lo aveva usato, poiché ebrea. Ma, non tutti sui comportavano così: infatti, da subito Lea chiarisce che, se lei oggi è il mezzo a loro a raccontare, è grazie alla protezione ricevuta da famiglie semplici, anche povere, che li hanno aiutati, nascosti e protetti.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la loro situazione a Roma si aggravò e un loro benefattore diede loro dei documenti falsi e disse loro di andar via. Si dovettero separare e Lea a 10 anni fu affidata ad una famiglia di un famoso scultore che lavorava per il Vaticano. Poi, a causa di una soffiata, la famiglia a riparare altrove, trovando stavolta la compiacenza di un portiere di uno stabile che permise loro di soggiornare in un appartamento vuoto, senza fare troppe domande.

Dovette cambiare nome ed imparare una nuova storia personale che doveva essere pronta a raccontare, qualora qualcuno le domandasse qualcosa.

Lea, in conclusione della sua racconto, rispondendo alle diverse domande rivolte a lei dai giovani presenti, ammette che bisogna sempre lottare per farsi conoscere, ma, soprattutto, di non smettere mai di studiare e di pensare con la propria testa.

Queste parole oggi ci sono affidate perché le meditiamo e continuiamo, a nostra volta, a mantenere il ricordo perché mai più il mondo divenga tanto disumano.

Germano Baldazzi

La foto è gentile concessione di Alessandra Mura

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