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COVID-19 e anziani in istituto: RISCHIO ISOLAMENTO

La pandemia di Covid-19 sta provocando, oltre alle tantissime vittime che ogni giorno sono tragicamente conteggiate dai media, una serie di conseguenze meno evidenti. I primi mesi della pandemia sono stati drammatici, in particolar modo, per gli anziani ricoverati, “istituzionalizzati” (che vivono nelle RSA, case di riposo, villette, ecc.): là, il virus è riuscito a far breccia e ad entrare insieme al suo carico di dolore e morte.

Il virus è penetrato anche in quelle strutture che hanno chiuso, già dal mese di febbraio scorso, le visite agli esterni e fermato ogni attività.

C’è anche chi ha resistito, chi è stato protetto e chi ha lottato contro la malattia. Essenziale ed indispensabile è stata l’abnegazione e la tenacia dei tanti operatori sanitari che, negli ospedali – in particolare – hanno tentato e compiuto anche l’impossibile per salvare più malati possibili. E, tra i guariti, vi sono anche diversi anziani.

Il virus della pandemia oggi non è ancora debellato, ma abbiamo dei protocolli e presìdi di sicurezza che ci permettono di muoverci, uscire, tornare al lavoro, a scuola e svolgere tante attività con rischi minimi di essere contagiati, o di contagiare.

Lo abbiamo detto, con l’inizio del lockdown gli istituti e le residenze per anziani hanno completamente chiuso le porte agli esterni: niente più visite di parenti e conoscenti, nessuna visita di volontari, niente servizi religiosi e nessuna visita medica esterna! Unica eccezione: i ricoveri ospedalieri urgenti.

Tale condizione è durata per diversi mesi. Unici contatti ammessi e concessi, naturalmente, quelli telefonici, magari con una videochiamata per gli anziani più tecnologici e anche per gli anziani residenti in strutture (non molte in verità) che hanno messo a disposizione un tablet con cui ricevere una videochiamata. È, comunque, rimasto il problema per gli anziani più fragili, quelli confusi o che sentono poco, con maggiori difficoltà di relazione, rispetto ad altri. Per loro, l’isolamento ha costituito un danno ben più grave, non avendo più riferimenti e contatti quotidiani o saltuari, neanche più una badante!

Per gli anziani in istituto il lockdown è stato veramente una prova estrema.

Nonostante la tecnologia sia venuta in aiuto per alleviare la mancanza di visite e di libertà di uscire persono dalla propria stanza dell’istituto, per tutti, ma specialmente per gli anziani, il vero nemico da contrastare – nemico infido e traditore – è l’isolamento!

È vero, in alcune strutture, con molte accortezze e rispettando stringenti protocolli sanitari, dal mese di maggio si possono effettuare dei brevi incontri con i propri cari. Ma, per gli anziani che hanno superato le settimane peggiori del contagio, l’isolamento persiste ancora, anche se abbiamo lasciato alle spalle la fase più acuta. Ora, per gli anziani si dovrà aprire una nuova lottare contro il deterioramento cognitivo aggravato dall’isolamento sociale di questi mesi. E sarà molto difficile recuperare alcune capacità che l’isolamento avrà fatto regredire.

Chi già prima aveva difficoltà a parlare o aveva un ridotto vocabolario, ora avrà ancora più difficoltà, come pure chi sentiva poco, sentirà ancor di meno. Ma, poi, è più facile trascurarsi e scegliere di lasciarsi andare in un simile contesto di abbandono e di impossibilità nel compiere qualunque attività!

È difficile anche ricordare perché (o per chi) combattere e resistere, “per chi o per quale motivo dovrei resistere?” Ma, così, il pericolo di lasciarsi andare aumenta.

Una storia

Nel tempo del lock-down ho avuto modo di parlare ripetutamente con una donna che aveva la madre ricoverata in una struttura socio-sanitaria: lei era solita visitarla quasi ogni sera, dopo il lavoro. Ed era sempre più disperata, perché per 4 mesi non aveva più avuto modo di vederla, ma sentiva che era più in difficoltà, rispetto al passato.

Il personale dell’istituto, dopo insistenti richieste, ha messo a disposizione dell’anziana madre un tablet, aiutandola a ricevere una videochiamata dalla figlia. Una telefonata commovente: quando la madre ha capito che quella che vedeva sullo schermo era la figlia, sono comparse le lacrime! Poi, sono divenuti singhiozzi perché, dopo la felice sorpresa per la videochiamata, aveva tragicamente realizzato che fossero ancora lontane, separate! La figlia mi ha telefonato per raccontarmi tutto e, dopo aver constatato con sollievo che la madre stesse bene, mi ha detto – come seconda cosa – in maniera un po’ retorica: «Come posso tirare fuori mia madre da lì?»

Ieri, purtroppo, sono venuto a sapere che la madre aveva avuto un repentino peggioramento delle condizioni di salute ed è morta di notte, da sola.

La figlia stava provando ad ottenere dal medico della struttura il permesso di salire al reparto, perché la madre ormai era allettata e non poteva vederla giù, come facevano altri, nella sala predisposta per gli incontri. Purtroppo, non ha fatto in tempo e non ha potuto nemmeno dirle addio.

La rigidità dei protocolli talvolta può essere peggiore degli effetti di un contagio in tempo di pandemia.

Questa è una vicenda drammatica: ci sono anche storie di anziani meno tragiche, che hanno lottato per non perdere alcune loro residue capacità. Ma, nelle strutture in cui è prevista un minimo di fisioterapia e di riabilitazione cognitiva, di logopedia, le attività sono state interrotte. Questo, per evitare il rischio di far circolare il virus. I terapisti, non potendo far scendere gli anziani nelle palestre, salgono loro ai piani e svolgono terapie ai pazienti: pochi minuti per ciascun anziano. Però, così non possono trattare tutti, hanno forse più attenzioni per il singolo, ma per talmente poco tempo che il beneficio si esaurisce in breve.

Nel post-covid dovremo lottare contro le accresciute fragilità di chi sarà riuscito a sopravvivere (uso volutamente questa espressione) in questo tempo di isolamento da tutti, ma non dal virus. Purtroppo!

Il Prof. Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio, intervistato alla trasmissione televisiva “UNO MATTINA”, ha sottolineato – tra l’altro – come

«la solitudine è un grandissimo problema, accorcia la vita degli anziani. L’abbandono di tanti anziani negli istituti è un grave problema. Importante sarà ritrovare un rapporto umano tra giovani ed anziani, le relazioni, la socialità, la cura verso gli anziani».

E, verso la conclusione della sua intervista, avvisa:

«Non abbandoniamo gli anziani, altrimenti si starà creando una sorta di ‘apartheid sociale’ nei loro confronti».

Un rischio grave, a che può essere allontanato con le visite, le telefonate, un pensiero, un gesto. Pensiamoci, potrà cambiare la vita (o allungarla)!

Germano Baldazzi

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