FATTI

Addio ad Elio Toaff, “felice e sazio di giorni”.

Avrebbe compiuto cent’anni tra pochi giorni – il prossimo 30 aprile – il rabbino capo emerito della Comunità ebraica di Roma. Elio Toaff era nato a Livorno nel 1915, uomo di una generazione difficile, che ha vissuto da giovane gli anni del fascismo e delle persecuzioni antiebraiche, dopo le prime generazioni di ebrei invece cittadini liberi e protagonisti nell’Italia dopo l’Unità.
Da giovane visse personalmente la parabola più oscura del nazifascismo, subendo la discriminazione delle leggi razziste e partecipando da resistente alla lotta contro il totalitarismo. Scampò fortunosamente alla morte, come racconta nelle pagine del suo racconto autobiografico Perfidi giudei, fratelli maggiori, che intitolò riprendendo l’espressione usata da Giovanni Paolo II in occasione della storica visita alla sinagoga di Roma. Di quel libro conservo gelosamente una copia un po’ stropicciata, da lui autografata in occasione della presentazione pubblica del libro, a Roma, il 24 novembre 1987.
Rabbino della più antica comunità europea della diaspora ebraica per cinquant’anni, ha avuto in sorte non solo una lunga vita ed un lungo magistero ma anche la ventura di trovarsi in un crinale privilegiato della storia che gli ha consentito, per primo, di ricevere la visita in sinagoga di un papa, dopo secoli di incomprensioni, disprezzo, discriminazioni e violenze contro gli ebrei, dopo le lunghe e tragiche vicende dell’antisemitismo che la chiesa di papa Wojtyła ha contribuito a dissipare.

Elio Toaff ha partecipato alla storia del suo e nostro tempo senza timore e con schiettezza, da uomo di dialogo e di fede sincera, lasciando alla sua Comunità ed alla città dove ha svolto il suo lungo magistero – e dove ha vissuto gli ultimi anni – una profonda eredità.
Tra la serata di ieri e la giornata di oggi in molti hanno raccontato ed evocato la sua bella figura di uomo e di credente. Dei suoi molti tratti, di lui mi piace sottolineare la grande testimonianza di amore per Roma, di cui divenne cittadino onorario nel 2001. Ha detto in proposito Andrea Riccardi, in occasione dei suoi cinquant’anni di rabbinato e ricordando la memoria della drammatica della deportazione degli ebrei della Capitale il 16 ottobre 1943, che Elio Toaff ha saputo

«presidiare gli angoli della vita di Roma, perché non circol[assero] nuovamente i veleni dell’odio», nella «convinzione che la Comunità ebraica è parte decisiva dell’anima e dell’identità di questa nostra Roma e di quella di domani. […] Toaff ha saputo manifestare attorno a sé una gioia serena che ha contagiato i romani ed è andato al di là dei confini del mondo ebraico. Ha risposto alla sfida di un tempo affannato come il nostro e dei tanti problemi angoscianti […]. Uomo di una minoranza, ha saputo creare attorno a un’idea e a una Comunità, un grande rispetto, quello della maggioranza. Ha contribuito a rendere Roma più unita e – con la sua presenza – ha insegnato anche a gente di altra religione a essere migliori, coerenti con la propria fede».

Elio Toaff alla marcia per la memoria del 16 ottobre 1943

Mi auguro che la morte lo abbia raggiunto “in felice canizie, vecchio e sazio di giorni”, come dice la Scrittura di Abramo (Gn 25, 8), e che quanti di noi lo hanno incontrato, conosciuto e stimato ricevano in eredità almeno un poco della sua saggezza e del suo amore per l’incontro.

Paolo Sassi

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