FATTI

Charlotte Salomon, una breve vita, una grande opera d’arte

Primo Levi sosteneva che: “I “salvati” del Lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l’esatto contrario. Sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della “zona grigia”, le spie. Non era una regola certa (non c’erano, né ci sono nelle cose umane, regole certe), ma era pure una regola. (…). Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti”.

Tra tutti i “migliori” travolti dalla follia della violenza nazista va sicuramente ricordata una giovane donna di 26 anni che, molto probabilmente, ad Auschwitz resistette solo un giorno.
Il suo nome è Charlotte Salomon, era una pittrice tedesca di origine ebraica e la sua opera è una delle testimonianze più sensibili e significative, anche se un po’ meno conosciute di altre, della tragedia che ha colpito la generazione dei giovani nati negli a partire dalla Prima Guerra Mondiale.
Nata a Berlino nel 1917 in una famiglia benestante (il padre era uno stimato medico-chirurgo), fece fin da piccola i conti con il dolore, dovendo confrontarsi con il suicidio della madre, malata di psicosi maniaco-depressiva. La stessa Charlotte soffrì di gravi crisi depressive dalle quali, tuttavia, seppe sempre riemergere grazie al suo impegno nel campo artistico. La pittura, infatti, fu per lei un rifugio e uno stimolo a reagire alle difficoltà della sua vita e del suo tempo; nella sua opera non c’è nessun accenno rivendicatorio, piuttosto vi si evince una lettura lucida e attenta degli anni della guerra e del totalitarismo nazista.

La sua vita prese un’accelerazione alla fine degli anni ’30 quando, a causa delle leggi antisemite, fu espulsa dall’Accademia di Belle arti di Berlino e dovette lasciare la Germania a seguito dell’internamento del padre nel campo di concentramento di Sachsenhausen svenuto nel 1936.
Rifugiatasi in Francia presso i nonni che vivevano a Villefranche-sur-Mer nei pressi di Nizza, visse lì per alcuni anni, anch’essi travagliati, fino al suo arresto da parte dei nazisti, avvenuto, a causa di una delazione, poco dopo il suo matrimonio con Alexander Nagler, un altro rifugiato tedesco. Deportata ad Auschwitz, morì il 10 ottobre del 1943, lo stesso giorno del suo arrivo al tristemente famoso Lager.

Tutta l’opera di Charlotte è racchiusa in una serie di 1325 dipinti prodotti nel periodo che va dal 1940 al 1942, con la tecnica del “guazzo” (utilizzo di colori a tempera resi più pesanti grazie all’aggiunta di pigmenti e gomma arabica) dal titolo “Leben? Oder Theater?” (“Vita? O teatro?”); questa raccolta di dipinti rappresenta praticamente l’intera la vita di Charlotte, il suo percorso esistenziale di giovane borghese ebrea, sullo sfondo della Berlino degli anni 30 e della provincia francese dei primi anni ’40, nonché del susseguirsi degli eventi che portarono l’Europa alla Seconda Guerra Mondiale.


In quest’opera, strutturata come un vero e proprio copione teatrale, Charlotte utilizzò anche testi e musiche, compiendo, in questo “mixage artistico”, un’operazione estremamente originale e notevolmente innovativa per quei tempi bui. Nel racconto della sua tragica vita Charlotte portò a compimento, attraverso la propria arte, il percorso di un suo riscatto esistenziale, quello di una donna sensibile e coraggiosa che, fuggendo ogni vittimismo e, al tempo stesso ogni indifferenza, seppe scrollarsi di dosso la galleria degli orrori che portarono al baratro l’Europa del suo tempo.
L’intera opera di Charlotte si salvò e sopravvisse a lei grazie ad un suo amico al quale ella affidò i suoi dipinti poco prima del suo arresto; oggi è conservata al Joods Historisch Museum di Amsterdam.

Il romanziere francese David Foenkinos che ha studiato la vita di Charlotte Salomon, in un’intervista afferma:

 “L’opera di Charlotte è la creazione della sua stessa vita. E questo passa oltre il mero fatto di dipingere, per me. È la nascita di un mondo. Un modo di raccontare la propria vita, con dei testi letterari e delle indicazioni musicali. Una fusione, una corrispondenza totale delle arti. Lei è stata capace di reinventare la sua stessa vita per poterla sostenere. Raramente una creazione è stata pensata con un tale grado di intensità. È un vero prodigio di bellezza. Bisogna salvarsi dalla propria vita per poterla vivere”.

Francesco Casarelli

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