FATTI

Opinioni: Quell’oscuro desiderio di passato …

Sarebbe arduo analizzare nel suo complesso la vittoria di Donald Trump – “Un contraccolpo bianco, operato da chi ha iniziato a vedersi come una minoranza, con interessi diversi da quelli di altre etnie” per Joan Walsh, su “The Nation” -. Sarebbe utile scandagliare meglio l’anima americana, chiamata ad esprimersi, contestualmente alle presidenziali, su diversi temi referendari – importanti in particolare quelli del Nebraska, dove si è deciso il ripristino della pena di morte, sospesa dal ’97; della California, dove è stato respinto un provvedimento che sostituiva la pena di morte con l’ergastolo; del Colorado, dove sarà ora autorizzato il suicidio assistito -. Sarebbe interessante indagare la crisi dei sondaggi – “La tecnologia dei sondaggi non funziona più, ci sono nuove reti sociali che non capiamo”, ha detto Moisés Naim, politologo del Carnegie Endowment for International Peace -. 
Sarebbe bello. Ma non è possibile farlo bene, in un ambito limitato come il nostro blog.
Vorrei soffermarmi allora su qualcosa di “marginale” alla grande vicenda delle elezioni statunitensi, e che però mi ha colpito. Tanto nella campagna elettorale appena terminata, quanto – andando un po’ più indietro nel tempo – in quella referendaria inglese, in merito a Brexit.
Ovvero la forza – in entrambi i contesti – del richiamo del passato, una pulsione decisa e suadente che ha finito per toccare le corde profonde di tanti e convincerli che il mondo d’oggi è talmente sbagliato da non poterlo correggere facendo leva sulle sue potenzialità. Piuttosto esso va rigettato in toto, in modo che sia possibile tornare al buon tempo andato, a quella mitica età dell’oro che la postmodernità e la globalizzazione hanno indebolito o rubato, ovviando alla perdita di sovranità che comunque “il mondo globale e interconnesso comporta”, come ha scritto Ida Dominijanni.
“Il presente viene distorto, il passato è riscritto”, ha notato Natalie Nougayrède. Esso è idealizzato, a torto, contro ogni verità, come il tempo di una potenza incontrastata in un mondo non ancora preda del disordine globalizzato (per gli Stati Uniti), come l’era dell’ordine e dell’omogeneità (per il Regno Unito). Ecco allora gli slogan di Trump, “Make America great again!” o dell’UKIP, “We want our country back!”. “Torniamo indietro nel tempo!”. 

L’oscuro fascino del passato conquista i cuori degli anglosassoni di una certa età (i minori di 30 anni hanno votato in maggioranza per la permanenza in Europa a giugno e per la Clinton due giorni fa). Si vuole che il futuro abbia un cuore antico – e non nel senso positivo che Carlo Levi dava a tale espressione -. Si spera si possa scendere da un treno che va verso una destinazione sconosciuta, quando la stazione di partenza era invece così rassicurante …. 
Il tutto si situa ai margini tra antropologia e psicologia. L’elettorato si trasforma in una massa guidata non da idee più o meno razionali, bensì da un risentimento verso il presente che, come ci ha insegnato René Girard, tracima nell’esclusione di chi ci somiglia ma non è come noi, nella ricerca di capri espiatori. 
Quanto accaduto nei paesi anglosassoni può ripetersi negli altri stati del Vecchio Continente? 
Non so. Non c’è “un” Occidente, come non c’è “un” Islam. Le tendenze, le tentazioni, le scelte, possono non essere le stesse. E, del resto, un mitico passato italiano non c’è (o risale all’epoca romana), il passato tedesco è troppo tragico per sembrare appetibile; è forse la Francia a rischiare di più gli stessi sentimenti che hanno trionfato oltre Manica e oltre Oceano. Quel che credo, comunque, è che nei prossimi appuntamenti elettorali italiano, francese, tedesco, si tratterà ancora di scegliere se affrontare le grandi sfide del XXI secolo con un cuore che guarda al futuro, forti dell’essere parte di una comunità di 500 milioni di persone (l’Europa), ovvero se rifiutare quelle sfide e rifugiarsi nel passato, in un clima da “strapaese” che sembri allontanare il grande e veloce flusso della storia.

Francesco De Palma
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