FATTI

Espulsioni

Domenica scorsa alcuni “tifosi” della squadra del Cagliari si sono esibiti in cori razzisti durante la partita col Pescara, rivolti questa volta all’indirizzo del calciatore ghanese Sulley Muntari, “colpevole” – evidentemente – per la sua origine africana.
Mi colpisce sempre quando qualcuno viene ancora sbeffeggiato – o peggio – per il colore della propria pelle, che in fondo è – tra i tanti aspetti variabili della vita – uno di quelli che non possiamo scegliere, anche se si manifesta per primo e con evidenza agli occhi degli altri.
Non è purtroppo una novità: l’ottimo Mauro Valeri – studioso del fenomeno e di cui ho già apprezzato il libro dedicato alla vicenda umana e sportiva di Leone Jacovacci – dedicò alcuni anni fa un preoccupato e documentato volume (Che razza di tifo. Dieci anni di razzismo nel calcio italiano) all’argomento, che resta – evidentemente – ancora di grande attualità.
Questa volta, Muntari sembra averle provate tutte. Ha dapprima tentato – amichevolmente – di rabbonire la curva; ha poi chiesto – inutilmente – l’intervento dell’arbitro Minelli, che lo ha invece ammonito per proteste. Cosicché, seccato ed amareggiato, ha infine abbandonato il campo. Risultato: una giornata di squalifica.
Non ho particolari competenze per valutare se durante il match di domenica scorsa – come stabilito dal giudice federale Gerardo Mastrandrea – i cori razzisti abbiano o meno violato l’articolo 11 comma 3 del Codice della giustizia sportiva, né se questa squalifica sia più o meno coerente con tale sistema. Chi lo volesse, può leggere la breve decisone e farsi da sé una opinione in argomento.
Mi ha però impressionato un particolare nel comportamento di Muntari, che pure è uomo dal carattere impulsivo. È accaduto durante la partita, molto prima dell’epilogo, alla fine del primo tempo. Accortosi che tra quanti lo dileggiavano c’era anche un bambino, a ciò “incitato” dalla sua famiglia, l’atleta si è avvicinato alla curva, si è presentato al piccolo, ha provato a spiegare che trattare così un calciatore nero è sbagliato; infine, gli ha regalato la sua maglia.

Muntari e l’arbitro Minelli

Non so se all’Alto Commissario ONU per i diritti umani Zeid Ra’ad al-Hussein, che ha parlato dell’uscita dal campo di Muntari come «esempio nella lotta al razzismo», sia stato raccontato anche questo gesto del calciatore africano; né se quello di domenica scorsa sarà – auspicabilmente – un momento di svolta nella lotta contro il razzismo ed i giudici sportivi sapranno – o vorranno – rivalutare diversamente quanto accaduto nello stadio cagliaritano.
Ma il contegno – apparentemente inutile – di Muntari (e specialmente quel tentativo di “umanizzazione” compiuto all’indirizzo dei suoi denigratori) vale, secondo me, almeno quanto molti discorsi.

Paolo Sassi

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