FATTI

“Trump? Posso dirle che passerà, i migranti, invece, ci saranno sempre” (p. Solalinde)

Si è parlato – a proposito dell’intervento delle ONG nel Mediterraneo – di “pull factor”, di un fattore di attrazione per chi si mette in mare, di un incentivo alle partenze. 
L’altro giorno ho ascoltato la voce di un altro possibile indiziato come “pull factor”. Chiunque può ascoltarla leggendo il suo libro, “I narcos mi vogliono morto”, edito da EMI. 
E’ la voce di p. Alejandro Solalinde, prete messicano di 72 anni, difensore dei diritti dei migranti, loro protettore dai “cartelli” del narcotraffico, che si accaniscono contro gente che parte dal Guatemala, dal Salvador, dall’Honduras, etc., alla ricerca di un futuro migliore negli Stati Uniti. Per questa gente p. Solalinde ha fondato a Ixtepec, non lontanissimo dalla frontiera meridionale del Messico, “Hermanos en el camino”, una rete di centri in cui i migranti in viaggio ricevono aiuto umanitario e legale (ogni anno vi transitano più di 20000 persone). E’ questa rete a impedire che altre migliaia di uomini e donne spariscano nel gorgo dei trafficanti di uomini che si aggirano famelici alla ricerca dei migranti, per ricavarne riscatti, prostitute, schiavi, organi da vendere. 
“Pull factor”? La sua azione gli è valsa la candidatura al Premio Nobel per la pace 2017. E tanta gratitudine da parte dei migranti. 
La sua storia, il suo impegno sono il cuore di un’autobiografia, scritta insieme a Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire, che Solalinde sta promuovendo in Italia, tra Milano, Reggio Emilia, Roma – è la presentazione cui io ho assistito, presenti gli autori, nonché Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio e Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire” -, Torino, etc.. 

Cosa c’è nel libro? Molte storie “di uomini e donne che lasciano il loro inferno sperando in un futuro migliore” e che a volte si trovano precipitati in una nuova tragedia. La consapevolezza del fatto che “i migranti sono un segno dei tempi” e “i pionieri del futuro, perché non hanno paura di rischiare”. Il tentativo di far ragionare un mondo ricco e impaurito: “Da soli, chiusi a doppia mandata nelle nostre isole blindate, viviamo paralizzati dal terrore. O ci illudiamo di vivere. Ma non è troppo tardi. Possiamo e dobbiamo avere il coraggio di rischiare un po’ del nostro benessere per restare umani. Non più ‘noi’ o ‘voi’ ma ‘noi e voi’, ‘io e l’altro’. Insieme. O ci salviamo tutti o tutti verremo travolti”. E una certezza: “Donald Trump? Posso dirle che passerà, mentre i migranti ci saranno sempre”.  

Francesco De Palma
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