FATTI

Il piccolo grande uomo che salvò il mondo

Ci sono dei giorni, delle date, che si ricordano perché segnate da eventi che hanno cambiato il corso della storia.
Ad esempio è tristissima la data in cui fu sganciata la prima bomba atomica, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, su Hiroshima, prima, e Nagasaki, poi, cosicché anche il Giappone si arrendesse. Da quel giorno si aprì la strada verso gli armamenti nucleari.
All’opposto, per fare un altro esempio, il 13 maggio 1981 se Alì Agca fosse riuscito ad uccidere nell’attentato Papa Giovanni Paolo II, oggi il mondo probabilmente sarebbe diverso. Forse non sarebbero ancora cadute la Cortina di Ferro e il Muro di Berlino …
Un’altra importante data, in cui le sorti della storia avrebbero potuto subire una brusca deviazione è il 26 settembre 1983. Ma questa storia per tanto tempo è rimasta sepolta da una sorta di segreto di stato. 

Era da poco passata la mezzanotte e il tenente colonnello Stanislav Petrov era il superiore addetto alla sorveglianza dei sistemi di difesa dell’URSS. Ma non era un semplice militare di carriera, era un analista, uno stratega, che in quella notte si trovò quasi per caso a fare il turno di guardia ai radar e ai calcolatori, sostituendo uno dei militari professionisti. Un altro al suo posto si sarebbe limitato ad applicare il protocollo, informando i suoi superiori: «Missili termonucleari americani in arrivo. Colpiranno il territorio dell’Unione Sovietica fra 25/30 minuti». Così riferendo, di lì a poco, si sarebbe scatenata una guerra apocalittica.
Invece no. L’ufficiale Petrov fece un ragionamento estremamente lucido, nonostante la tensione del momento, pervenendo alla conclusione che gli USA, se avessero voluto veramente attaccare, non lo avrebbero fatto semplicemente con uno gruppo di missili, come i radar avevano rilevato. Era convinto si trattasse di un’avaria del sistema di rilevazione nei radar. Ci vollero tra i 12 e 15 minuti perché si potessero accertare che la sua intuizione fosse stata corretta, e constatare che, effettivamente, nessun missile avesse colpito l’Unione Sovietica.
Si scoprì che i radar furono ingannati da riflessi di luce sulle nuvole. Un’intuizione determinante per la salvezza del mondo, ma la rigidità del sistema sovietico non fu tenera con il militare. Invece di un encomio, ricevette un richiamo: se lui aveva avuto ragione, qualcun altro doveva aver sbagliato a progettare il sistema. E per non ammettere la falla nel sistema, tutto venne insabbiato. Quando Petrov si congedò, non gli concessero nemmeno l’usuale promozione a colonnello.
La sua storia riemerse nel 2015, grazie ad un giornalista del Corriere della Sera che lo raggiunse per conoscerlo e scrivere di lui. Petrov abitava in uno dei tipici palazzi di cemento armato tirato su all’epoca di Krusciov. Era una persona schiva, semplice, un uomo minuto, di poche parole. Al giornalista che lo aveva raggiunto disse, schernendosi: «Noo!, che ho fatto? Niente di speciale, solamente il mio lavoro. Ero l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto».
Petrov è scomparso a 76 anni, il 19 maggio 2016, in Italia la notizia è giunta nel settembre scorso. La sua storia è stata narrata e raccontata in alcuni libri (Roberto Giacobbo e Valeria Botta sono gli autori di “L’uomo che fermò l’apocalisse”), ed è stato anche ricordato in film come “The red button” e, più recentemente, in “The men who saved the world”. Pellicole girate per rendere giustizia ad un uomo che sfidò il sistema, bloccato com’era dalla Guerra Fredda, senza paura delle conseguenze che avrebbe potuto subire nel disobbedire alla procedura di rispondere all’attacco con un altro attacco. 

Germano Baldazzi

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