"Barbiana '65. La lezione di Don Milani", il film.
“Lettere ad una professoressa” lo lessi, anzi letteralmente lo “divorai”, all’età di 15 anni.
Mi colpì subito il suo linguaggio diretto, a volte ruvido e tagliente, così lontano dalla steretipo irenico e un pò macchiettistico con il quale, tra gli adolescenti inquieti di allora, era immaginata la figura del prete.
Don Lorenzo appariva invece ai miei occhi, come un uomo “autentico”, uno che parlava chiaro e sapeva dire cose controcorrente, che amava la verità anche quando questa era scomoda; uno che insegnava ad avere uno “spirito critico” o, come si diceva allora, a “pensare con la propria testa” e a coltivare una propria coscienza civile, fino ad arrivare alla disobbedienza e alla ribellione, quando ci si trovava di fronte a palesi ingiustizie.
Poi mi affascinava il suo amore per la cultura, intesa come un bene che diventava tanto più prezioso, quanto più era condiviso con gli altri. La cultura, per lui, era un mezzo di elevazione e riscatto per chi, avendo solo la sventura di essere nato in contesti marginali, si trovava in una condizone primordiale di svantaggio.
Ma, soprattutto, il suo insegnamento più grande e contagioso, era la sua passione per i poveri, per i periferici, per gli “ultimi”. Era un grande esempio, agli occhi di un ragazzo, su come mettersi in gioco “per cambiare il mondo”. Il messagio implicito che veniva dalle sua storia e dalle sue parole era quello dell’assunzione personale della responsabilità: se non ti piace la realtà della tua città, del mondo che ruota attorno a te, non delegare agli altri, ma rimboccati le maniche e inizia a lavorare per cambiarla; non pensare che sei troppo giovane, troppo debole o troppo piccolo per fare qualcosa di decisivo.
E’ dalle riflessioni di Don Milani, poi, che ci fu trasmessa un ‘idea rivoluzionaria del concetto di scuola, intesa non come un luogo dove, attraverso i meccanismi delle valutazioni, del merito, delle promozioni e delle bocciature, venivano perpetuate e definitivamente strutturate le ingiustizie sociali, ma come la “casa dei poveri”, dove i più svantaggiati erano messi al primo posto e dove nessuno doveva andare perduto, perchè una scuola degna di questo nome doveva garantire a tutti le stesse opportunità di crescita.
E’ dalle riflessioni di Don Milani, poi, che ci fu trasmessa un ‘idea rivoluzionaria del concetto di scuola, intesa non come un luogo dove, attraverso i meccanismi delle valutazioni, del merito, delle promozioni e delle bocciature, venivano perpetuate e definitivamente strutturate le ingiustizie sociali, ma come la “casa dei poveri”, dove i più svantaggiati erano messi al primo posto e dove nessuno doveva andare perduto, perchè una scuola degna di questo nome doveva garantire a tutti le stesse opportunità di crescita.
Questa l’esperienza che Don Lorenzo visse e trasmise con la sua Scuola Popolare di Barbiana e questi erano i concetti che arrivavano al giovane lettore dei suoi scritti di allora.
Con il passare del tempo, attraverso letture e studi successivi, compresi più a fondo la complessità di Don Milani. Mi fu chiaro che lui visse fino in fondo e in modo radicale la sua missione di prete innamorato del Vangelo. Tutto la sua idea di scuola, l’amore per gli ultimi, l’odio per le ingiustizie che colpivano la povera gente indifesa, partiva da lì.
La sua stessa idea di fare scuola ai poveri, nacque proprio da “un’ansia pastorale”. Si rese conto che i poveri, i contadini analfabeti, i montanari, avevano un cultura e un vocabolario limitati e, per questo, non riuscivano a comprendere quello che lui predicava. E’ vero che le Sacre Scritture parlavano e parlano a tutti, ma se tanti erano totalmente sprovvisti dei prerequisiti fondamentali di base, come fare per poter aprire loro la mente e far comprendere nella sua ricchezza l’intero messaggio cristiano? E soprattutto come far capire loro che Gesù li amava se si trovano in una condizione umana dove la dignità personale era calpestata e i diritti fondamentali erano loro negati? Come ogni “Buon Pastore”, Don Lorenzo, aveva la preoccupazione di non perdere nessuna
pecora del suo gregge, ma come fare per rendere la Chiesa un luogo
aperto a tutti e non solo ai ricchi privilegiati? Ecco allora che la Chiesa, secondo la visone Milaniana, non doveva essere “neutrale”, ma, per essere credibile e coerente con quello che Gesù insegnava, doveva fare una “netta scelta di campo”, cioè doveva scegliere di stare dalla parte dei poveri, mettere i poveri al centro, partire da loro per arrivare al cuore di tutti.
pecora del suo gregge, ma come fare per rendere la Chiesa un luogo
aperto a tutti e non solo ai ricchi privilegiati? Ecco allora che la Chiesa, secondo la visone Milaniana, non doveva essere “neutrale”, ma, per essere credibile e coerente con quello che Gesù insegnava, doveva fare una “netta scelta di campo”, cioè doveva scegliere di stare dalla parte dei poveri, mettere i poveri al centro, partire da loro per arrivare al cuore di tutti.
Queste erano le sue domande, la sua visione e sicuramente il suo sogno che si concretizzava nella Scuola Popolare.
Ciò, nell’Italia degli anni ’50 e ’60 – dove la “Guerra Fredda” tra USA e URSS si traduceva nella dura contrapposizione tra DC e PCI e la Chiesa era decisamente schierata con il blocco anti-comunista – poteva però significare di dover pagare un costo altissimo in termini umani. In quell’Italia e in quella Chiesa di allora, stare con decisione dalla parte dei poveri, poteva voler dire ricevere l’accusa di essere una specie di “simpatizzante comunista che confondeva le anime”, anche se l’amore per i poveri che Don Milani viveva, era tutto scritto nel Vangelo.
L’esilio (perchè di questo si trattò) nella sperduta Pieve di Barbiana, in mezzo alle montagne – praticamente una parrocchia senza anime – un luogo ameno dove non c’erano luce e acqua, fu il prezzo più grande che Don Lorenzo dovette pagare, per aver semplicemente voluto essere un prete che viveva con radicalità la sua missione pastorale. Ma anche lì, in quello che doveva essere il luogo della sua “punizione”, come dimostrò negli anni successivi al suo arrivo, sviluppò al meglio la sua opera di pastore e maestro e Barbiana, da sperduta periferia, divenne il centro di un sogno e di un progetto di cambiamento.
Ciò, nell’Italia degli anni ’50 e ’60 – dove la “Guerra Fredda” tra USA e URSS si traduceva nella dura contrapposizione tra DC e PCI e la Chiesa era decisamente schierata con il blocco anti-comunista – poteva però significare di dover pagare un costo altissimo in termini umani. In quell’Italia e in quella Chiesa di allora, stare con decisione dalla parte dei poveri, poteva voler dire ricevere l’accusa di essere una specie di “simpatizzante comunista che confondeva le anime”, anche se l’amore per i poveri che Don Milani viveva, era tutto scritto nel Vangelo.
L’esilio (perchè di questo si trattò) nella sperduta Pieve di Barbiana, in mezzo alle montagne – praticamente una parrocchia senza anime – un luogo ameno dove non c’erano luce e acqua, fu il prezzo più grande che Don Lorenzo dovette pagare, per aver semplicemente voluto essere un prete che viveva con radicalità la sua missione pastorale. Ma anche lì, in quello che doveva essere il luogo della sua “punizione”, come dimostrò negli anni successivi al suo arrivo, sviluppò al meglio la sua opera di pastore e maestro e Barbiana, da sperduta periferia, divenne il centro di un sogno e di un progetto di cambiamento.
A cinquant’anni dalla sua morte, in questi giorni, ci viene regalato un bellissimo film che il regista, Alessandro G.A. D’Alessandro ha girato recuperando (e restaurando) l’unico materiale audiovisivo esistente su Don Milani e la Scuola Popolare, proveniente dalle riprese che suo padre, Angelo D’Alessandro, anch’egli regista, fece a Barbiana, nel 1965.
“Barbiana ’65. La lezione di Don Milani”, mostra immagini commoventi. Si vede con chiarezza la povertà di Barbiana e, soprattutto, quella dei ragazzi che frequentavano la Scuola Popolare. Appare un Don Lorenzo indebolito dalla malattia che due anni dopo lo avrebbe portato alla morte. Si sente la sua calda voce toscana mentre legge, davanti ai ragazzi, alcuni brani della sua ultima opera “L’obbedienza non è più una virtù. Lettera ai cappellani militari”.
Anche grazie alle parole di alcuni testimoni, il film è un piccolo compendio riguardante la figura del grande prete e maestro toscano.
E’ un film che lascia profondamente toccati perchè, nelle immagini povere e semplici di Barbiana, traspare il grande impegno umano, religioso e civile di Don Lorenzo, nel restituire, attraverso la scuola, la “parola” e la “dignità” ai suoi ragazzi.
E’ bella la riflessione che scaturisce da questo film: l’esperienza di Barbiana non è ripetibile sia per la sua unicità, sia per le condizioni storiche che l’hanno determinata; al tempo stesso il messaggio di Don Milani è di una grande e sorpendente attualità. Da questa considerazione nasce l’esigenza di dover in qualche modo “tradurre” e “attualizzare” l’esperienza Milaniana, nelle tante “Barbiane” del nostro tempo, costitutite dalle periferie umane ed esistenziali delle nostre città, dai luoghi della povertà, della guerra e dalle migrazioni.
Francesco Casarelli
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