Il ritorno della fame nel mondo
Il numero delle vittime e delle persone colpite a causa della fame, nel mondo, ha recentemente conosciuto una seria impennata. La denuncia arriva leggendo il nuovo rapporto su “Lo Stato della sicurezza alimentare e nutrizionale nel mondo 2018”.
Nel mondo le persone che soffrono per la fame nel 2017 erano 821 milioni, cioè un abitante su 9 nel pianeta non riesce ad avere neppure un pasto sicuro al giorno. Cifre che riportano il livello nutrizionale del mondo a quello di circa dieci anni fa. I continenti che registrano le maggiori difficoltà di approvvigionamento alimentare sono l’Africa, l’America Latina e anche qualche limitata regione dell’Asia.
I bambini sono tra i più colpiti, in caso di difficoltà di reperimento di cibo. La denutrizione o la malnutrizione infantile, infatti pregiudica loro la crescita e il regolare sviluppo psicofisico.
Nel mondo si stimano in circa 151 milioni i bambini vittime dell’arresto della crescita per denutrizione.
Le cause di questa emergenza sono diverse: la variabilità climatica, molto più diffusa che in passato, dovuta a un aumento di eventi climatici estremi sempre più frequenti; i numerosi conflitti in corso che non permettono di attivare né coltivazioni che allevamenti regolari; la crisi economica che sta colpendo tanti stati, che non hanno sufficienti risorse per sostenere l’economia e i suoi cittadini.
Le Agenzie dell’ONU, alla pubblicazione del documento, hanno dichiarato che bisogna star vicini alle popolazioni più affamate: «È imperativo accelerare ed aumentare gli interventi per rafforzare la capacità di recupero e adattamento dei sistemi alimentari e dei mezzi di sussistenza delle popolazioni, in risposta alla variabilità climatica e agli eventi meteorologici estremi».
Con precise differenze e peculiarità, anche in Italia vi è una fascia di popolazione che ha difficoltà nel mangiare tutti i giorni: quasi mezzo milione di under 15 non possono nutrirsi a sufficienza e si arrangiano grazie ad aiuti alimentari, esterni alla famiglia. Questi bambini appartengono alle famiglie di 2.7 milioni di italiani che, quotidianamente si recano alle mense dei poveri o che chiedono e ricevono da enti benefici, parrocchie o associazioni, pacchi di alimenti.
Sul nostro territorio vi sono quasi 11mila strutture, tra parrocchie, mense e centri di distribuzione, che provvedono al reperimento e alla distribuzione di generi alimentari a famiglie o a singoli bisognosi.
Sono state introdotte alcune buone pratiche per ovviare, almeno in parte, alla penuria di cibo, per la fascia della popolazione più debole.
Oltre agli enti benefici, che ogni settimana sostengono con generi di prima necessità centinaia di famiglie, è stata di recente ideata la pratica della “spesa sospesa”. Cioè, prendendo in prestito una pratica tutta partenopea di lasciare un caffè (o altro) “in sospeso” in un bar per chi si trovasse in difficoltà, si può lasciare proprio una “spesa sospesa”: diverse associazioni (Coldiretti, Associazione Shalom onlus, Banco Alimentare, solo per citarne alcune) chiedono a chi si reca a far la spesa in determinati esercizi che hanno preventivamente aderito all’iniziativa, di fare una donazione libera acquistando prodotti a favore dei più bisognosi.
Perlopiù si chiede ai clienti di acquistare pasta, tonno in scatola, olio, caffè, biscotti, passata, legumi, biscotti per bambini, omogeneizzati, zucchero, fette biscottate, latte e una volta pagati in cassa, depositarli in appositi contenitori di raccolta posti negli esercizi aderenti. In particolare, le cosiddette “Giornate di colletta alimentare”, sono divenute tra i più partecipati eventi di solidarietà, in cui si viene invitati a far la spesa anche per chi è povero.
Un altro sistema per la raccolta di generi alimentari è quello di richiedere, ad opera delle associazioni, i prodotti a lunga conservazione, ormai prossimi alla scadenza, in regalo per distribuirli a chi in necessità, con il vantaggio per le catene commerciali di non pagare lo smaltimento dei prodotti scaduti rimasti invenduti.
La pratica della donazione dei prodotti prossimi alla scadenza potrebbe arginare l’enorme spreco di alimenti che ogni anno finiscono nel bidone della spazzatura. La Coldiretti ha stimato che i prodotti alimentari che terminano nelle pattumiere valgano oltre 16 miliardi di euro. La maggior parte degli sprechi avviene tra le mura domestiche: sono ben il 54% del totale; nella ristorazione si gettano il 21% del cucinato; la distribuzione commerciale concorre con il 15% di spreco; l’agricoltura non sfrutta 8% del raccolto; e, nella catena della trasformazione, viene eliminato il 2% dei prodotti.
Questi interventi sono interventi locali che non possono incidere a livello mondiale. In particolar modo, il cambiamento climatico, mina la produzione di cibo in diversi parti del mondo. È in atto un costante innalzamento della temperatura mondiale, e la situazione peggiorerà. Secondo il rapporto presentato, per sradicare la fame occorre intraprendere urgentemente più azioni: l’obiettivo è quello, con uno sviluppo sostenibile, di arrivare alla “fame zero”. Questo include azioni concrete e costanti per migliorare la nutrizione e costruire una vera e propria “resilienza” delle popolazioni verso il cambiamento del clima. Ma è proprio il cambiamento climatico a minare la produzione di cibo in alcune regioni, dove, senza interventi specifici e in vista di un costante innalzamento della temperatura, si prevede un rapido peggioramento della situazione. Secondo il rapporto, per sradicare la fame occorre intraprendere urgentemente più azioni, in vista del raggiungimento dell’obiettivo “fame zero” entro l’anno 2030, tra cui oltre a migliorare la produzione, bisognerà sostenere le popolazioni nel costruire difese e verso l’incipiente mutamento climatico che sta condizionando pesantemente la produzione e l’approvvigionamento alimentare.
Germano Baldazzi
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