Christchurch: tributo alle vittime di un terrorismo narcisistico …
L’ombra del terrore continua ad accompagnarci. Non è più proiezione di reti globali, piuttosto dell’individualismo e del disorientamento del nostro tempo, della Babele dei nostri cuori e delle nostre menti. Del resto, come liberarsene? è facile entrare in una moschea, è facile utilizzare un bus ….
Ma che accada da noi, o ai nostri antipodi, in Nuova Zelanda, che siano coinvolti questi o quelli, ogni volta che succede qualcosa del genere la campana suona per tutti. Lo ha detto con grande efficacia il primo ministro neozelandese, commemorando le vittime di Christchurch, parlando della loro comunità: “Siamo una cosa sola, noi e loro”. Siamo insieme. Siamo vicini. Camminiamo sul medesimo percorso, verso la stessa destinazione. E – se crediamo – siamo fratelli e sorelle: “Sono vicino a tutta quella comunità. Preghiamo insieme, in silenzio, per i nostri fratelli musulmani”, ha detto papa Francesco all’Angelus del 17 marzo.
Si sia un suprematista bianco o un islamista radicalizzato, quel che si sceglie è proprio di dire che l’Altro non è mio fratello, che io e “loro” non siamo una cosa sola. Ecco il meccanismo infernale, ecco la fabbrica del nemico, che sia etnico, religioso, o qualcos’altro. Il punto è cancellare ogni comunanza con me. Non importa che lui o lei parli la mia lingua, gli o le piacciano le cose che mi piacciono, che viva a due passi da me. Quell’uomo o quella donna deve essere fissato nella sua alterità, per la sua pelle, per la sua religione, e così via. E poi classificato come un invasore, un pericolo, un nemico, un mostro.
C’è qualcosa di idolatrico – idolatria del sé – in questo processo. L’assassinio diventa uno spettacolo che si dà in pubblico, la strage si fa “social”. Il criminale è un narcisista che si filma mentre va a compiere il massacro, che utilizza una microcamera in maniera che nulla si perda del suo exploit sanguinario. Il carnefice non si nasconde più dietro un cappuccio nero come nel Medioevo: in una tristissima postmodernità si esibisce mentre uccide, gode che i media amplifichino la portata del suo atto, quasi un tributo all’ego smisurato di un superuomo sanguinario. La violenza non è l’obiettivo in sé. Essa è piuttosto lo strumento attraverso il quale raggiungere il vero obiettivo, l’esaltazione del proprio modo di vedere ed agire, ormai bandiera da impugnare o cui contrapporsi.
Ecco allora che bene ha fatto Jacinda Ardern, a negare all’omicida di Christchurch la notorietà che cercava: “Un uomo di 28 anni, cittadino australiano, […] cercava di ottenere molti risultati dal suo atto, e uno di questi è la notorietà. Per questo non mi sentirete mai pronunciare il suo nome. È un terrorista. È un criminale. È un estremista. […] E imploro tutti voi e tutti quanti: pronunciate forte il nome di chi è rimasto senza vita, non quello di chi gliel’ha tolta, la vita“.
Francesco De Palma
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