CHIESA

Per una “nuova” normalità: “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla”

Ieri si celebrava la Pentecoste, discesa dello Spirito su una piccola comunità di discepoli, provata dagli avvenimenti della Pasqua, ignara della straordinaria popolarità che la loro predicazione avrebbe avuto nei secoli seguenti.

2000 anni dopo il successore del capo riconosciuto di quel gruppuscolo, nella ex capitale del mondo degli apostoli, ha scelto tale ricorrenza per rivolgersi ai propri confratelli sacerdoti della diocesi di Roma, ma anche per riflettere su quanto l’epidemia ha cambiato il pianeta e su come la Chiesa è chiamata a dare forma al futuro che si intravede al di là di questo tornante della storia umana.

“Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati”: così papa Francesco due mesi fa, nella drammatica preghiera del 27 marzo.

Oggi il papa riparte in un certo senso da lì, scrivendo ai preti della Città Eterna: “Inzuppati dalla tempesta che infuriava, voi vi siete ingegnati per essere presenti e accompagnare le vostre comunità”. “Sebbene fosse necessario mantenere il distanziamento sociale, questo non ha impedito di rafforzare il senso di appartenenza, di comunione e di missione, [né di] far sì che la carità, specialmente con le persone più svantaggiate, non fosse messa in quarantena”, ha continuato: “Abbiamo ascoltato e visto le difficoltà e i disagi del confinamento sociale, la solitudine e l’isolamento soprattutto degli anziani, l’ansia, l’angoscia e il senso di non-protezione di fronte all’incertezza lavorativa e abitativa, […] le angoscianti preoccupazioni di intere famiglie che non sanno cosa mettere nei piatti la prossima settimana”.

Ma Bergoglio non si limita a un bilancio. Né le sue parole intendono essere solo un accompagnamento e una conferma paterni all’operato ecclesiale. Il suo orizzonte si estende ben presto, nella lettera, e va a toccare il nodo del futuro: “La speranza dipende anche da noi e richiede che ci aiutiamo a mantenerla viva e operante; quella speranza contagiosa che si coltiva e si rafforza nell’incontro con gli altri e che, come dono e compito, ci è data per costruire la nuova ‘normalità’ che tanto desideriamo”.

C’è una “nuova normalità” da edificare. Non sarà del tutto altra da quella che abbiamo conosciuto nell’era pre-coronavirus, ma non potrà certo esserle identica. Ché tutto è stato messo “in discussione da una presenza invisibile che ha trasformato la nostra quotidianità”.

E’ come se Francesco non volesse eludere, o cancellare, lo iato che si apre – che deve aprirsi – tra il prima e il dopo. Il dopo è lì, davanti a noi, da modellare perché non ripeta gli errori del prima: “La narrativa di una società della profilassi, imperturbabile e sempre pronta al consumo indefinito è stata messa in discussione, rivelando la mancanza di immunità culturale e spirituale”.

Il dopo è nelle nostre mani, perché la sua “normalità” non sia pura e semplice ripetizione di ciò che era, bensì qualcosa di migliore. Si tratterà per questo “di invitare gli altri a sognare e ad elaborare nuove strade e nuovi stili di vita”: “Se una presenza impalpabile è stata in grado di scompaginare e ribaltare le priorità e le apparentemente inamovibili agende globali che tanto soffocano e devastano le nostre comunità e nostra sorella Terra, la presenza del Risorto [aiuti] a tracciare il nostro percorso, ad aprire orizzonti e a darci il coraggio di vivere questo momento storico e singolare”.

Il messaggio che il papa affida a qualche centinaio di preti romani è senz’altro rivolto ben oltre la loro cerchia. A loro e a tutti Francesco ricorda che “da una crisi come questa non si esce uguali, come prima: si esce o migliori o peggiori”. Per loro e per tutti sottolinea (nell’omelia della Pentecoste) la forza paralizzante del vittimismo e del pessimismo: “Nel dramma che viviamo, quant’è brutto il vittimismo! […] Nel grande sforzo di ricominciare, quanto è dannoso il pessimismo, il vedere tutto nero, il ripetere che nulla tornerà più come prima! Pensando così, quello che sicuramente non torna è la speranza”.

Da vero leader globale, Bergoglio sprona il mondo a non ripiegarsi sotto il peso della crisi, ma ad avere lo slancio di chi spera in un tempo libero dalle storture del passato, di chi vorrebbe respirare un’aria non più viziata dai miasmi della ripetizione e della conservazione. Perché, dice la saggia voce del vescovo di Roma, “peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla”.

Francesco De Palma
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