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Il (tragico) richiamo della speranza

Un’opera del pittore siciliano Giovanni Iudice

Si chiamava Joseph, veniva dalla Guinea, era un bambino di 6 mesi, è morto due giorni fa affogato in mare mentre era con la sua mamma su una di quelle assurde imbarcazioni dove i trafficanti di esseri umani stipano i migranti. Vere e proprie “carrette del mare” utilizzate nei pericolosi viaggi per raggiungere l’Europa e, con essa, il miraggio di una vita migliore.
Le ingiuste leggi europee hanno fatto si che questi assurdi viaggi, per tanta gente, siano pressoché le uniche modalità per raggiungere il Vecchio Continente.
Le frontiere sigillate, i muri, i fili spinati, sono divenuti una vera e propria “manna” per la criminalità organizzata che, lucrando sulla disperazione e le speranze della povera gente, ha avviato un immenso business sul traffico di esseri umani che, assieme a quello della droga e delle armi, è una delle fonti più redditizie delle economie malavitose.
“I lose my baby!”, è il grido di una madre africana mentre vede le onde di un mare crudele inghiottire suo figlio.
Ma l’immagine, rimbalzata da una parte all’altra del web, di questa donna che grida disperata, sembra non scuotere nessuna coscienza. Il mondo ricco del nord in questo tempo è preso da altro.
L’emergenza da Covid-19 ha chiuso ancora di più le frontiere degli Stati e ogni società è ripiegata sui drammi di casa propria. Ed è anche comprensibile, visto l’andamento dei contagi che sta colpendo i modo drammatico le fasce più deboli delle nostre società, come gli anziani.
Ma il grido di quella donna resta in tutta la sua drammaticità.
La suggestiva immagine, nel tempo della pandemia, dello “stare tutti sulla stessa barca” stride un po’ quando ci si rende conto che invece le barche non sono uguali per tutti.
Per alcuni le barche sono una protezione, per altri sono invece la condanna a morte.
Nel mondo che verrà dopo la pandemia tante cose dovranno cambiare, tante se ne dovranno inventare.
Una fra queste: creare “vie legali” che permettano ai migranti di entrare in Europa in sicurezza, perché nessuno debba più morire di speranza.
Sarebbe questo un bel passo in avanti per concretizzare l’immagine dell’umanità che sta sulla “stessa barca”.


Francesco Casarelli

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