Quelle strade senza uscita chiamate “Vie dell’Odio”. Un ricordo di Bill Pelke.
La scomparsa improvvisa di Bill Pelke lascia un grande vuoto tra gli attivisti della Campagna Mondiale contro la Pena di Morte. Chi lo ha conosciuto ha avuto la possibilità di apprezzare il suo impegno, la sua determinazione e la sua importante testimonianza per un battaglia di civiltà.
Ripropongo, di seguito, un suo ricordo basandomi su un articolo che scrissi per questo blog, qualche tempo fa.
Ho conosciuto personalmente Bill Pelke, il nipote di Ruth Pelke, l’anziana insegnante di catechismo trucidata nel 1986 da Paula Cooper, una ragazza di 15 anni che, assieme ad alcune sue amiche, si introdusse nella sua casa per rapinarla. Fu un delitto che scosse gli USA e l’opinione pubblica mondiale, sia per la sua efferatezza, sia per la giovane età dell’assassina che poi fu condannata alla sedia elettrica, conquistando il triste primato di essere la più giovane detenuta nei bracci della morte americani.
Quando conobbi Bill, ebbi davanti a me l’immagine di un uomo sereno, dotato di una calma interiore, uno di quei privilegiati a cui sembra sia stato svelato il segreto di come vivere una vita riconciliata.
Per lui, però, non sempre era stato così.
Quando trovarono il corpo della sua amata nonna Ruth, martoriato da 12 coltellate, provò una rabbia incontenibile e desiderò tutto il male possibile per quei “mostri” che avevano provocato tanto male e tanta sofferenza.
La sua fu una reazione istintiva di odio e di desiderio di vendetta; infatti gioì quando il tribunale condannò la quindicenne Paula alla sedia elettrica. Era giusto che la ragazza pagasse per ciò che aveva commesso.
Ma la sua soddisfazione rabbiosa fu di breve durata. Accanto ai sentimenti di odio e vendetta, sentiva nascere dentro di sé un’inquietudine che non sapeva decifrare.
Ripensava in continuazione a nonna Ruth e alle storie sulla Bibbia che gli raccontava quando era piccolo: quelle vicende parlavano solo di amore, di perdono e non c’era posto per l’odio.
Si trovò spesso a piangere da solo, tormentato dall’abisso che separava i sentimenti rabbiosi che lui stava vivendo, da quello che forse veramente avrebbe voluto nonna Ruth.
E fu così nella sua lotta interiore, l’amore per nonna Ruth, questa figura di anziana donna appassionata della Bibbia, prese il sopravvento facendo crollare tutte le impalcature di rabbia che Bill aveva costruito nel suo cuore.
Come allora mi spiegò, “quando cadono queste impalcature l’anima si libera e diviene capace di scelte sorprendenti”.
Bill decise di incontrare Paula Cooper.
Voleva capire e dare un senso a tutto quel dolore.
Fu un percorso complesso che è difficile riassumere in poche battute.
Accenno solo al fatto che quando le persone sono osservate con gli occhi liberi, si scopre la loro umanità. Bill, restituendole la dignità di persona, comprese il dramma di Paula, una ragazza che fin da piccola era cresciuta in un contesto di violenza e abusi familiari. Non giustificò Paula per le sue azioni, ma comprese che queste erano la diretta conseguenza di quanto lei aveva subito, fin da bambina.
Comprese che il male genera altro male e la violenza genera altra violenza.
Comprese quanto fosse vera la frase di Gandhi “occhio per occhio e il mondo diventerà cieco”.
Era una catena che si doveva interrompere. E il primo passo fu questo: “Paula non doveva morire”.
Per lui fu la salvezza della ragazza il miglior modo di onorare la memoria di sua nonna Ruth.
Fu tra i promotori della campagna internazionale per la salvezza di Paula Cooper che culminò con la commutazione della sua pena. Fondò l’associazione “Journey of Hope” diventando uno dei più importanti attivisti contro la pena di morte.
Ero con Bill, qualche anno fa, in un liceo di Ariccia, un comune alle porte di Roma, di fronte ad un’affollata assemblea di studenti.
La scuola aveva organizzato questo evento in occasione del 30 novembre, “Giornata Mondiale contro la Pena di Morte”.
Cercavamo assieme di trasmettere il concetto che esiste un’alternativa alla violenza e alla vendetta. Quando Bil prese la parola ed iniziò a raccontare il suo percorso esistenziale che da “vittima che pretende vendetta”, lo ha portato ad essere un attivista contro la pena di morte, un grande silenzio regnò nella sala.
Vidi molti dei ragazzi, erano più di 500, con gli occhi lucidi e mi scoprii commosso anche io.
Sono gli uomini e le donne come Bill Pelke che rendono migliore questo mondo.
E’ la loro lotta, quella capace di erodere in profondità le fondamenta del male.
Il male che si esprime attraverso la violenza, quello che si annida nel proprio cuore, quello che avvelena i rapporti interpersonali e si riproduce senza soluzioni di continuità.
Agli uomini e le donne come Bill va tutto l’onore.
Francesco Casarelli
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