Il saluto di Roma al Morè Vittorio Haim Della Rocca
Una folla commossa si è ritrovata, ieri mattina, di fronte al Tempio Maggiore, per salutare Rav Vittorio Haim Della Rocca, 88 anni, scomparso il giorno prima.
Tutti all’aperto, sotto il cielo grigio, il canto della preghiera un po’ smorzato dalle mascherine indossate a protezione dal virus che ha portato via la vita del Morè, il maestro, come familiarmente era conosciuto. È una scomparsa dolorosa per l’ebraismo romano ed italiano.
Dopo le preghiere, gli interventi del rabbino capo della Comunità, Riccardo Di Segni, della presidente Ruth Dureghello ed infine il ricordo emozionato dei figli, Jonathan e Roberto, che hanno evocato e testimoniato – accanto alla fragilità degli ultimi tempi – alcuni dei tratti paterni: quelli di un uomo che ha saputo tenere insieme le dimensioni della vita materiale e di quella spirituale, sempre ricercato per una parola, un consiglio, un intervento; profondo conoscitore della sua città e della gente della sua Comunità, entrambe amate.
Era nato nel 1933 ed aveva conosciuto il dramma della Shoah, che gli aveva portato via suo padre, Rubino.
La Comunità ebraica romana lo ha ricordato come «chacham (saggio) dei nostri tempi, ma anche maestro, scrittore, docente, guida spirituale ed un eterno tifoso di calcio, come amava simpaticamente sottolineare. Lascia un grande vuoto ma con il merito di aver contribuito alla formazione di tanti studenti, oggi adulti, che proseguono sulla scia dei suoi insegnamenti».
Nel 2015, aveva consegnato la sua biografia all’editore livornese Salomone Belforte, pubblicata col titolo Chiedi a tuo padre e te lo dirà: un rabbino di Roma si racconta.
Dopo il commiato pubblico, si è formato un corteo funebre che ha percorso il tratto di strada che ora porta il nome di Elio Toaff, il rabbino capo accanto al quale si è svolta una buona parte della vita di Rav Della Rocca. Dall’interno della scuola ebraica si udivano le voci dei ragazzi che accompagnavano il maestro dei loro genitori nell’ultimo viaggio.
Lo incontrai la prima volta per le strade di Trastevere – moltissimi anni fa – insieme a sua moglie e a suo figlio Jonathan, mio amico e compagno di studi all’università; e poi, diverse altre, in sinagoga come pure in occasione delle celebrazioni con la Comunità di sant’Egidio per il ricordo della deportazione degli ebrei romani nel 1943.
Alla marcia del 2010, al termine, lo ricordo guidare il corteo col sefer Torah da piazza 16 ottobre 1943 a san Bartolomeo all’Isola. Ebbi occasione di salutarlo un’ultima volta, nei corridoi del vecchio complesso del San Gallicano, nell’ottobre del 2019, in occasione della consegna del premio Rabbi Moshe Rosen ad Andrea Riccardi.
Che il suo ricordo sia di benedizione.
Paolo Sassi
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