Ricordando Valdo Vinay, ovvero dell’amicizia cristiana
Il 25 novembre del 1990, trent’anni fa, moriva a Roma Valdo Vinay: teologo, pastore della chiesa valdese, professore, ma soprattutto appassionato predicatore delle scritture cristiane, uomo dalle poliedriche qualità e di solide amicizie, vissute in molti ambienti differenti e assieme con tante persone.
La pandemia ha fatto avanzare un poco la data di celebrazione dell’anniversario ed ha condotto i promotori ad una convocazione telematica: ma la ricchezza di vita e di relazioni di quest’uomo è stata infine testimoniata in un bell’incontro dal titolo Il “secolo breve” di un protestante italiano: Valdo Vinay (1906-1990),organizzato lo scorso 15 gennaio dalla Facoltà valdese di teologia ed oggi reso disponibile dalla rivista Confronti, per chi non avesse potuto seguirlo e lo volesse ascoltare.
Assieme a Lothar Vogel, professore di Storia del cristianesimo alla Facoltà valdese, erano presenti Manuela Vinay (nipote di Valdo ed anch’essa attiva nella Chiesa valdese), Alessandra Trotta (eletta poco più di un anno fa moderatora della Tavola) ed Ambrogio Spreafico (vescovo di Frosinone oltre che esponente della Comunità di sant’Egidio). L’appuntamento ha ospitato tre dense relazioni: Valdo Vinay teologo valdese, di Paolo Ricca, Valdo Vinay e la Comunità di sant’Egidio, di Andrea Riccardi, ed infine Valdo Vinay e il Segretariato attività ecumeniche, di Mario Gnocchi.
Molte cose sono state dette e raccontate, parecchie riflessioni sono state intessute. Eppure, questo ricordo di Vinay – plurale e complesso, come la sua storia– mi sembra abbia sorpassato la pur meritata ed indiscussa dimensione ricostruttiva della sua vita e dei suoi contributi (accademici, teologici, ecumenici…) per mostrare chiaramente la grande cifra umana e spirituale di quest’uomo del “secolo breve”: un “gigante” per certi versi “inesplorato”, secondo l’impressione di Fulvio Ferrario.
«Vinay è stato un teologo per molti aspetti “controcorrente”, che ha avuto il coraggio di esprimersi di prendere posizione anche quando non gli conveniva. La passione per l’Evangelo è stata la chiave della sua esistenza e della sua vocazione ed era più forte di ogni altra considerazione. Sono stato fortunato ad avere Valdo Vinay come maestro, collega ed amico: perciò penso a lui con profonda gratitudine. Sono stato confermato nella fede dai sermoni che Vinay ci faceva il venerdì sera nell’aula B della facoltà Valdese di teologia: è lì che è maturata definitivamente in me l’idea di diventare pastore, perché lì ho conosciuto da vicino la bontà e il valore insostituibile dell’Evangelo predicato», ha raccontato con partecipazione Paolo Ricca, successore di Vinay nell’insegnamento e sicuramente il maggiore tra i suoi allievi.
Andrea Riccardi ha ricostruito appassionatamente la relazione di Valdo Vinay con la Comunità di sant’Egidio, iniziata nella Pentecoste del 1973 e durata fedelmente fino alla sua scomparsa. «La Comunità di Sant’Egidio, agli inizi, ha avuto dei maestri, attraverso degli incontri: uno di questi – e certo non il minore – è stato Valdo Vinay: nella chiave dell’amicizia, come si evince dalla dedica della seconda edizione del suo libro Riforma protestante, dove scrisse: “Ai giovani amici della Comunità di Sant’Egidio, i quali mi chiedono ancora di spiegare loro la parola di Dio. E qui l’amicizia non finisce mai”». In occasione del suo funerale – ha proseguito Riccardi – ebbi l’onore di portare il mio saluto al Tempio di piazza Cavour: «attorno al filo essenziale del culto della parola di Dio si è intessuto con Valdo Vinay un legame profondo, affettivo e umano; una comunione degna di quella Chiesa indivisa che è dono del Signore, ma può essere già esperienze privilegiata di alcuni momenti, di alcuni uomini e donne, ma forse di tutti».
Emozionato e partecipato anche il ricordo di Mario Gnocchi, che ha ripreso e ritessuto alcuni degli interventi di Vinay agli incontri del SAE, rileggendo con emozione i suoi contributi generosi al cammino dell’ecumenismo. Diceva Vinay in un incontro del 1975: «Anche noi oggi giungiamo alla fede in Cristo sempre mediante la predicazione del Vangelo nell’ambito di una determinata tradizione ecclesiastica; soltanto – come dice l’apostolo – “nessuno si glori degli uomini”. Cioè: nessuno esalti la propria tradizione, divenendone servo. Perché tutto è vostro: Giovanni Crisostomo, Giovanni Damasceno, Aurelio Agostino, Anselmo di Canterbury, Tommaso d’Aquino, Francesco d’Assisi e Valdo, Lutero, Calvino e il cardinal Gasparo Contarini; Blaise Pascal e Karl Barth. Potete rimeditare con gratitudine il pensiero di questi dottori e riformatori della chiesa, potete servirvi liberamente dei loro scritti e del loro esempio. Ma ad una condizione: che voi non diveniate Agostiniani o Tomisti, Valdesi o Francescani, Luterani o Calvinisti o Barthiani. L’apostolo si esprime così: a condizione che voi siate di Cristo. Questa vostra appartenenza totale a Cristo vi renderà veramente liberi, signori di tutte le cose, anche delle tradizioni, non strumenti e servi di esse».
Chi ha avuto in sorte – come chi scrive – di incontrare Valdo Vinay e di sentirlo predicare, si riconoscerà immancabilmente debitore di questo lascito di passione e di fede che ha superato molte barriere e che continua a parlare ancora oggi, con entusiasmo, del Vangelo condiviso della grazia e del perdono.
Paolo Sassi
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