LETTURESCUOLA

“Tutto un rimbalzare di neuroni …”

La scuola ha vissuto la tempesta Covid in parte in presenza, in parte a distanza. Molto è stato perso in quest’anno e mezzo, ma non si può dire che esso sia stato senza ricadute positive, in termini tanto propriamente didattici, quanto formativi in genere, nonché – perché no? – umani e relazionali.

Un piccolo bel volume ha di recente provato a raccontare la DAD dall’interno, descrivendo il microcosmo di un’ultima classe di secondaria di I grado – le “medie” di una volta -: è il libro di Vanessa Ambrosecchio, docente palermitana, autrice di “Tutto un rimbalzare di neuroni” (Einaudi).

Anche al di là dello schermo la prof – anzi, la “pro’” – c’è. Né Aurora, né Manfredi, né Teotista, né Zoran sono stati lasciati soli. Nel così frequente “Pro’, ci sei?” c’è tutto l’appello a un mondo adulto che continui ad accompagnare lungo i grandi sentieri della storia e quelli piccoli della quotidianità, “tutto un rimbalzare di neuroni”, appunto.

Il romanzo, sintesi di un anno, ma anche di tutta una carriera, di tutto un percorso di insegnamento e apprendimento, è come un inno alla scuola.

E’ l’autrice stessa a dichiararlo: “Mi auguro che aiuti chi è fuori dalla scuola a rendersi conto di quanto difficile, prezioso, oserei dire sacro, sia il lavoro dei docenti. Mi piacerebbe che il mio romanzo, con la leggerezza di una lettura godibile e al di fuori di chiassose polemiche da talk show, conducesse per mano ogni lettore a questa ormai imprescindibile presa di coscienza: se vogliamo davvero risollevarci, non solo dalla pandemia ma da una inveterata crisi culturale, economica e occupazionale, una è la parola d’ordine: la scuola prima di tutto!”.

“Il mio romanzo è, in parte, il racconto di un fallimento, lo scoramento di una professoressa che cerca di riproporre la scuola tradizionale da dietro uno schermo e, ovviamente, non solo non riesce, ma ha la netta percezione di vedere andare in fumo il lavoro fatto negli anni precedenti”, continua la docente. “La zattera che alla fine intercetta e cui si aggrappa, e con lei gli alunni, è quella della didattica emotiva. La DAD ha retto solo nei casi, e sono certamente moltissimi, in cui i docenti avevano precedentemente stabilito una relazione intensa con i gruppi classe. Diversamente, è stata una deriva”.

E’ un po’ quel che diceva don Milani: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola”.

E questa è senz’altro una grande sfida ….

Ma che soddisfazione sentirsi dire, come a p. 86, “Era bello andare a scuola, Pro’”. Oppure sentire i ragazzi commentare con profondità “Il più bello dei mari”, di Nazim Hikmet. Ovvero poter chiudere il libro con queste parole: “Degli alunni che ho avuto in 20 anni di scuola non so nulla. Se dei sogni sognati per ciascuno di loro almeno uno si è realizzato, non so neanche quello. E’ giusto così. Così, non smetto di sognare”.

Francesco de Palma

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