FATTI

Giovanni Fausti, precursore del dialogo cristiano-musulmano

Il viaggio di papa Francesco in Albania si è svolto, come dichiarato dallo stesso Bergoglio, all’insegna tanto delle sofferenze vissute ieri da quel popolo “a causa di un terribile regime ateo”, quanto del felice realizzarsi, oggi, di “una pacifica convivenza tra le sue diverse componenti religiose”.
L’Albania si era proclamata nel 1967 primo stato ateo del mondo, rivendicando di essere riuscita a sradicare completamente le fedi che da millenni o da secoli avevano attecchito sul suo suolo. Non era così, come sappiamo, e in molti ambiti, soprattutto familiari, uomini e donne avevano continuato, tra mille difficoltà, a sentirsi cristiani o musulmani. E però in tantissimi avevano sofferto vessazioni e prigionia, parecchi avevano vissuto la propria testimonianza fino al sangue.
Tra costoro vorrei ricordare la figura di Giovanni Fausti, gesuita bresciano, in due riprese nel Paese delle Aquile, l’ultima tra il 1942 e il 1946 come rettore del seminario di Scutari e

viceprovinciale della Compagnia di Gesù. Il suo itinerario esistenziale non ci parla solo di una fedeltà alla propria vocazione spintasi fino all’estremo – il 4 marzo 1946 è fucilato a Scutari come “spia del Vaticano” -, bensì pure di un coinvolto quanto anticipatore impegno per il dialogo fra le due grandi religioni monoteistiche. 

La vita e la morte del religioso bresciano riassumono, in un certo senso, i due poli della visita papale in Albania. In quel piccolo e arretrato paese, in quella periferia dell’Europa, Giovanni Fausti aveva saputo “uscire” da sé e dal proprio mondo per trovare nell’incontro con l’Altro la chiave per un’avventura destinata a un grande futuro, a tradursi nella dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” o in quello spirito di Assisi che 70-80 anni fa sarebbe sembrato un sogno impossibile. Forte di una profezia che andava oltre il presente, p. Fausti avrebbe saputo affrontare il tempo doloroso della prigionia e del martirio, continuando ad amare un popolo di cui era comunque riuscito a incontrare l’anima.
Ecco allora alcuni passi, raccolti insieme, tratti dai diversi articoli pubblicati dal gesuita bresciano sulle pagine de “La Civiltà Cattolica” a partire dal 1931, tutti sulla necessità e l’importanza di un dialogo aperto e amichevole con l’Islam.
“Ci sono ancora […] molte prevenzioni che separano musulmani da cristiani, e, se questi non si avversano ed odiano più come una volta, tuttavia non si amano ancora. Nel presente […] vorremmo spazzar via alcune […] prevenzioni: dobbiamo parlare all’Oriente per intenderci, non per insultarci. E’ forse il Cristianesimo che insegna ad odiare i propri simili, i propri fratelli? [Coloro che] forse in un domani, non tanto lontano, aprendo gli occhi a una luce più viva, saranno con noi […] cittadini del paradiso? Tutte le anime rette che cercano Dio con cuore puro, anche se possono errare in qualche verità, saranno da Dio perdonate e accettate nella eterna beatitudine; chi potrà pensare che fra gli adoratori di Allah, specialmente fra i nostri semplici montanari, ignari delle grandi malizie e delle grandi colpe del mondo moderno, non ci siano di tali anime rette e sincere? E’ officio nostro […] far sentire ai musulmani che noi non siamo gretti materialisti, che il cattolicesimo è tutt’altro che ‘religione di corazzate e di mitragliatrici’. La Chiesa Cattolica vede con infinita tristezza che si confondono tanto spesso l’opera sua e le sue intenzioni con le idee di un insensato imperialismo, che non è meno antiscientifico che anticristiano; perché, fondandosi sulla forza bruta, ignora i potenti segreti delle forze spirituali dell’umanità, le quali pure, come insegna la storia, presto o tardi finiscono con trionfare”.
La strada del dialogo interreligioso, che si è rivelata soprattutto dopo il Concilio, come un percorso necessario, e che tale continua a rivelarsi, al di là delle difficoltà e delle tragedie del presente, perché altra possibilità non c’è, se non quella irresponsabile “delle corazzate e delle mitragliatrici”, è più antica di quel che comunemente si pensa, ed è bello ritrovarne alcuni dei prodromi in un mondo vicino e insieme lontano, periferico ma spirituale, come quello dell’Albania di p. Fausti.

Francesco De Palma
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