FATTI

Guardando all’attualità: Polemiche dopo il Nobel a Bob Dylan. Chissà perché poi …

In questo inizio d’anno scolastico spiegavo in terza la nascita delle letterature romanze. 
Abbiamo visto insieme, i ragazzi ed io, come la nostra letteratura non nasca nel chiuso delle biblioteche, tra i professionisti della parola, bensì in contesti affollati, cortesi o popolari, e sempre al suono della musica. 
II primo documento letterario volgare di un certo livello in Italia è il Cantico di Frate Sole di San Francesco d’Assisi, e non è un caso si chiami ‘Cantico’. Le poesie che studiamo a scuola sono spesso sonetti e canzoni, e anche questo si spiega col fatto che venivano accompagnate da qualche strumento musicale.
Mi scuso per il breve divagare. Ma mi serviva per dire che secondo me il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan non è stato uno sbaglio, anzi, per certi versi, è un ritorno alle origini …. 
Qualcuno ha storto il naso. “Ma questa non è letteratura!”, “Il Nobel non è un Grammy!”. 
E però è stato scritto, secondo me giustamente: “I vari scrittori, italiani e non, i quali hanno strillato che Dylan non fa parte della letteratura, dovrebbero chiedersi prima di tutto se ne fanno parte loro, perché pubblicare un libro, o anche molti libri, significa essere dei lavoranti della scrittura, il che va bene, ma non significa per forza far parte di ciò che la letteratura decide di essere giorno per giorno. Vale ancora di più per la poesia. Che per ammontare a qualcosa deve uscire dalla pagina, deve acquisire una voce. Ho letto e leggo tanti rispettabilissimi poeti che mai in tutta la loro vita potranno scrivere nemmeno un mediocre verso di Dylan. Perché il verso di Dylan, anche se non è cantato da lui, anche se è tradotto in un’altra lingua, ‘suona’ più di milioni di ‘belle poesie’ che non riescono minimamente a far vibrare una frequenza nella testa di chi le legge. Sono poesie che fanno dormire bene, ma non fanno svegliare” (Alessandro Carrera). 
Giusto, no? Forse, invece di scrivere qualcosa per sé è più serio cantare “How many times must the cannon balls fly / before they’re forever banned?”, “Quante volte dovranno fischiare ancora le palle di cannone / prima di essere bandite per sempre?”. 

Del resto, cos’è la letteratura? E’ comunicazione di un messaggio universale, è tentativo di dare una risposta alle eterne domande e aspirazioni dell’uomo. 
Bene, i testi delle canzoni di Dylan – ma, potremmo dire, anche di quelle di De Andrè, o degli U2, o di qualcun altro – sono messaggi destinati a fa riflettere, immedesimare, vibrare, un pubblico universale. E se è vero che gli Accademici di Stoccolma sono famosi per alcune scelte non del tutto condivisibili, negli ultimi anni, in un contesto di crisi della letteratura occidentale, che abbonda di autori che si parlano addosso senza comunicare nulla, sia il premio del 2014 – alla Aleksievic, per i suoi bellissimi reportages, “monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo” – che quello di quest’anno, restituiscono alla letteratura la sua mission più vera e più feconda: parlare di fatti e di sentimenti, parlare a tutti; cercare di rendere migliore l’uomo, cercare di cambiare il mondo.

Francesco De Palma
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