“Voleva ben dire che il Lager era morto”, l’umanità che fa andare oltre Auschwitz
Fra due giorni il ricordo della liberazione di Auschwitz ad opera dell’Armata Rossa, la Giornata della Memoria.
Essa ci comanda di ricordare (“Meditate che questo è stato / vi comando queste parole / scolpitele nel vostro cuore”), di tributare un pensiero commosso ai milioni di uomini e di donne sommersi da un’ideologia razzista spregiatrice di ogni ragione e di ogni pietà, di tenere alta la guardia contro il risorgere di idee ed atteggiamenti improntati al disprezzo dell’altro.
Per questa Giornata della Memoria vorrei riprendere alcuni passaggi di “Se questo è un uomo”, che abbiamo riletto in classe, le pagine finali. Le parole di Primo Levi, scarne ed acute, ci restituiscono il momento del passaggio dalla presa anche mentale esercitata dal “campo di annientamento” alla rinascita dell’umanità fra i prigionieri. Nelle lunghe ore di sospensione fra la partenza delle ultime SS e l’arrivo dei primi soldati sovietici fu possibile la riapparizione di sentimenti di condivisione, almeno tra gli internati.
Noi, che ricordiamo che Auschwitz è stato, dobbiamo essere consapevole che essa si ripresenta ogni volta che muoiono la pietà e la compassione; che essa viene cancellata quando facciamo spazio all’umanità.
Francesco De Palma
“E allora avvenne che Towarowski (un franco-polacco di ventitré anni, …) propose agli altri malati di offrire ciascuno una fetta di pane a noi tre che lavoravamo, e la cosa fu accettata.
Soltanto un giorno prima un simile avvenimento non sarebbe stato concepibile. La legge del Lager diceva: ‘Mangia il tuo pane e, se puoi, quello del tuo vicino’, e non lasciava posto per la gratitudine. Voleva ben dire che il Lager era morto.
Fu quello il primo gesto umano che avvenne fra noi. Credo che si potrebbe fissare a quel momento l’inizio del processo per cui, noi che non siamo morti, da Häftlinge siamo lentamente ridiventati uomini”.
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