Essere anziani in Giappone …
Il Giappone è il paese più longevo al mondo, con 10,5 milioni di ottuagenari e 34,6 milioni di over 65, ovvero il 27,3% dell’intera popolazione. I dati della Banca mondiale classificano il paese al 1° posto seguito dall’Italia, con una quota di over 65 pari al 22, 4% della popolazione. Secondo le previsioni del ministero della Sanità del governo giapponese, la percentuale degli over 65 raggiungerà il 40% nel 2060.
Il Giappone è anche il paese dove si registra un alto record di ultra centenari. E’ qui infatti che troviamo l’uomo più anziano del mondo, Masako Nonaka di 112 anni, in buona salute, amante dei dolci, degli incontri di sumo e primo classificato nel guinness degli uomini più anziani al mondo. Anche la signora più anziana al mondo è giapponese, si chiama Nabi Tajima, classe 1905 e in attesa della certificazione del guinness dei primati, essendo, a 117 anni, la donna più anziana sulla terra. L’ultracentenaria vive con la famiglia nella sua abitazione e gestisce da oltre un secolo un centro termale.
Tuttavia, per il paese del Sol Levante, il fenomeno dell’invecchiamento fa emergere anche molte criticità. Infatti, il Giappone, oltre ad avere il tasso di persone anziane più alto del mondo, sta contemporaneamente registrando un vertiginoso calo delle nascite. Il numero dei minori di 15 anni non raggiunge i 15,6 milioni di unità, poco più di un quarto dell’intera popolazione. Oltre questo, c’è un altro dato che desta preoccupazione: quello relativo alle condizioni economiche degli anziani, secondo cui il 19,4% delle persone con più di sessant’anni vive in condizioni di povertà, con pensioni ridotte al minimo, a causa di un sistema pensionistico che risale a oltre 50 anni fa e che non tiene conto dei cambiamenti demografici.
L’invecchiamento della popolazione di fatto sta mettendo a dura prova il paese, sia dal punto di vista finanziario, che sociale. I giovani che fanno ingresso nel mondo del lavoro sono sempre di meno, il peso del debito pensionistico è difficile da sostenere, inoltre il Giappone non ha importanti flussi migratori, come i paesi Europei, tanto che il premier Shinzo Abe ha deciso di facilitare le procedure di ingresso nel paese per lavoratori stranieri, su cui, evidentemente, pensa di contare per sostenere, sia l’incremento della natalità, che il sistema di assistenza socio assistenziale di cui necessita una popolazione che sta invecchiando. Infatti, secondo il Guardian, entro il 2025 in Giappone mancheranno ben 370mila persone che accudiranno gli anziani.
Il basso tasso di natalità insieme all’alto tasso di invecchiamento della popolazione ha incrementato la condizione di solitudine in cui si ritrovano a vivere molti anziani in Giappone. Dal 1985 al 2015 il numero di anziani che vive solo è aumentato del 600%, tanto che la morte solitaria degli anziani, il kodokushi, è diventato un vero e proprio fenomeno sociale. Migliaia di anziani ogni anno si lasciano morire da soli ed il ritrovamento dei corpi avviene solo dopo mesi dal decesso.
La precaria situazione della popolazione anziana giapponese ha generato un fenomeno sociale paradossale, quello di farsi arrestare per poter vivere in carcere. Il 20% dei detenuti nelle carceri giapponesi è anziano, per lo più è accusato di piccoli furti, la maggior parte sono donne, e la metà degli anziani arrestati per taccheggio vive sola. Uno studio del governo giapponese ha dimostrato che circa il 15% degli anziani che vive da solo riferisce di avere una sola conversazione alla settimana.
Secondo il parere di molti di questi anziani soli o con un ridotto nucleo familiare, con difficoltà nell’affrontare le spese di prima necessità e disorientati di fronte alla malattia, si vive meglio in prigione che da uomini e donne liberi. In carcere, infatti, non si ha il problema di non riuscire a pagare l’affitto di casa; 3 pasti al giorno sono garantiti e, soprattutto, si incontrano persone con cui parlare e con cui condividere quelle situazioni di precarietà difficili da sopportare da soli. In poche parole ci si sente inseriti in una comunità e si incontra una nuova famiglia.
Un’interessante soluzione alternativa ai disagi che si possono incontrare nell’età della vecchiaia e che sta prendendo piede in Italia, è l’esperienza del co-housing: una soluzione che da qualche anno ha reso la coabitazione non più soltanto prerogativa degli universitari fuori sede, ma anche degli anziani. Coabitare aiuta ad affrontare non solo i problemi economici, ma anche la solitudine: Ci si aiuta nella gestione della casa, si dividono le spese e ci si fa compagnia. Oltre al co-housing c’è anche la soluzione del Condominio sociale: intere palazzine con degli appartamenti condivisi da due o più persone autosufficienti, dove gli anziani possono condividere degli spazi comuni e ricevere assistenza medica e un sostegno nei problemi della vita quotidiana. Certamente abitare insieme fa bene, ma liberi dalle sbarre della prigione.
Francesca Relandini
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