Una battaglia che vale la pena combattere: quella contro la pena di morte …
Il 30 novembre 1786 viene emanato il Codice Leopoldino, un quadro generale di riforma penale alla luce dell’Illuminismo, promosso dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo. Il codice risente dell’influsso del giurista Carlo Antonio Martini, seguace di Cesare Beccaria, noto avversario della pena di morte. Il Codice è dunque il primo atto legislativo a decretare formalmente l’abolizione della pena capitale: “Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata Legislazione era decretata la pena di morte per delitti anco non gravi, ed avendo considerato che l’oggetto della pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico danno, la correzione del reo figlio anche esso della Società e dello Stato, della di cui emenda non può mai disperarsi, […] e finalmente il pubblico esempio […]; che tale efficacia e moderazione insieme si ottiene più che con la pena di morte, con la pena dei lavori pubblici, i quali servono di un esempio continuato, e non di un momentaneo terrore, […] e tolgono la possibilità di commettere nuovi delitti, e non la possibile speranza di veder tornare alla Società un cittadino utile e corretto; avendo altresì considerato che una ben diversa Legislazione potesse più convenire alla maggior dolcezza e docilità di costumi del presente secolo […] siamo venuti nella determinazione di abolire come abbiamo abolito con la presente legge per sempre la pena di morte contro qualunque reo”.
Per l’anniversario di questa data d’importanza capitale – è davvero il caso di dirlo -, di questo piccolo passo per gli uomini del tempo, ma grande e lungimirante per l’umanità, la Comunità di Sant’Egidio ha riunito a Roma decine di ministri della Giustizia da tutto il mondo – e tra questi il ministro della Malaysia, l’ultimo stato in ordine di tempo ad aggiungersi alla lunga lista delle nazioni abolizioniste – e ha preparato per venerdì 30, di fronte al Colosseo – monumento di eccezionale valore storico e architettonico, ma anche luogo di decine di migliaia di esecuzioni per secoli -, un evento pubblico ricco di effetti scenici e di testimonianze.
Diversi testimoni dell’orrore e dell’ingiustizia della pena di morte, nonché dell’aleatorietà con cui essa colpisce, senza saper tante volte distinguere tra colpevoli ed innocenti sono infatti giunti a Roma. Tra questi è forse utile ricordare la storia di Mario Flores, messicano, emigrato da ragazzo negli Stati Uniti (a Chicago) con la sua famiglia, che ha passato 19 anni, da innocente, nel braccio della morte di un carcere dell’Illinois. Come pure del contesto in cui tale storia si iscrive.
Nel novembre 1984 la polizia arresta Flores con l’accusa di aver ucciso il leader di una banda rivale, sulla base della testimonianza di altri appartenenti alle gang. E nell’agosto 1985 una giuria condanna il giovane a morte. Flores, però, continua a protestare la propria innocenza, i suoi avvocati si mobilitano, il condannato studia legge in prima persona. Tutti insieme, Flores, legali, opinione pubblica riescono a rallentare il ticchettio dell’orologio. Finché avviene il miracolo. Nel 1999 lo Stato dell’Illinois accetta l’uso della prova del DNA e il test dimostra via via l’innocenza di diversi condannati. Alla luce di tali risultanze il Governatore decreta una moratoria di tutte le esecuzioni, convoca una conferenza stampa per ammettere che la giustizia non può garantire non si commettano errori irrimediabili e scarcera gli innocenti ancora nei bracci della morte. Tra essi c’è Mario Flores.
“Nei miei 20 anni di prigionia ci sono stati anche dei bei momenti. Tutte le volte che la mia famiglia mi veniva a fare visita, o che migliaia di persone comuni mi scrivevano per farmi coraggio. Erano momenti di speranza. L’unico grande problema era il tempo. Non passava mai. Quello è il vero crimine; sprecare il tempo. Per questo motivo ho visto tanta gente suicidarsi. Per questo motivo ho imparato a valorizzare il mio tempo imparando a leggere, scrivere, dipingere e sognare”. Così Flores a una platea di studenti delle secondarie. E quando uno di questi gli chiede cosa sognasse più frequentemente, così risponde l’ex condannato: “Sognavo di poter dimostrare un giorno la mia innocenza”.
E’ il sogno di tanti innocenti, intrappolati in un sistema disumano, che si disinteressa della sofferenza causata dai tanti errori che il meccanismo in sé finisce per provocare. Un lungo elenco di errori, come dimostra il recente rapporto del Cornell Center on the Death Penalty Worldwide, “Justice Denied: A Global Study of Wrongful Death Row Convictions”. Qualcosa di inaccettabile, come ha ammesso a Roma proprio oggi il ministro della Giustizia della Malaysia: “Ci siamo resi conto di come la pena di morte sia inumana e piena di ingiustizia. Il rischio di mettere a morte un innocente è troppo alto. Per questo abbaimo deciso di abolire la pena capitale”.
Francesco De Palma
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