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Don Milani, un anniversario da non dimenticare …

Oggi, 26 giugno, ricorre l’anniversario della scomparsa di Don Lorenzo Milani, Priore di Barbiana, creatore della omonima scuola, e autore di diversi volumi che nella chiesa degli anni ’60 e ’70 hanno suscitato dibattito e contestazioni.
Tra le sue opere non possiamo dimenticare “Lettera ad una professoressa”, scritto e pubblicato nel 1967 con i suoi alunni, dove si denunciava l’esclusione di tanti figli poveri della società dalla istruzione pubblica.
Un libro durissimo di denuncia, ma anche chiaro e diretto nel linguaggio.
L’incipit del volume è famoso. Esso è diretto ad una simbolica professoressa, ma è il modo per rivolgersi a tutti i docenti della scuola italiana: “Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quelli dell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete». Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate”. 

Il volume prosegue con altre denunce di manchevolezze umane, rapporti deficitari con gli alunni, la mancanza di strumenti umani e materiali della scuola di aggiornamenti con il mondo che avanza, ma anche di trascurare il ondo attuale in cui si viveva con le difficoltà quotidiane che si dovevano affrontare, ma a cui la scuola non offriva per gli studenti non figli di papà, né possibilità, né strumenti per difendersi.
Ma è anche autore dello scritto “L’obbedienza non è più una virtù”.
L’episodio che diede origine alla riflessione, ma anche denuncia, ebbe origine l’11 febbraio 1965, quando un gruppo di cappellani militari toscani in congedo, votò in una loro assemblea un documento in cui si dichiarava di considerare “Un insulto alla Patria e ai suoi Caduti la cosiddetta «obiezione di coscienza» che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”.
A questa dichiarazione, don Milani, con i suoi studenti decise di scrivere pubblicare una lettera di risposta alle parole dei cappellani militari schieratisi contro l’obiezione di coscienza.
Don Lorenzo Milani inizia dicendo che si “è insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch’io sappia, vi aveva chiamati in causa”. E da lì prosegue con una lunga lettera in cui analizza e spiega pedissequamente ogni motivazione che aveva portato all’uscita della lettera ai cappellani militari.
In precedenza, il priore di Barbiana aveva fatto dare alle stampe un volume che è stato molto osteggiato dalla Chiesa dell’epoca, anche se per la pubblicazione, aveva ricevuto sia il “nihil obstat” del revisore ecclesiastico, che l’“imprimatur” del Card. Elia Dalla Costa. Ma, alla sua uscita, ricevette fortissime critiche dalla rivista dei gesuiti, La Civiltà Cattolica.
Lo scandalo di questo volume veniva dalla denuncia di Don Milani di un distacco operato dalla Chiesta istituzionale dai credenti, dai problemi della gente comune. Il favore venuto dall’opere anche dai giornali e riviste comuniste ha fatto pesare ancor di più il sospetto di essere un’opera dal sapore extra ecclesiale, quindi da censurare.
Diversi autori hanno recentemente pubblicato nuovi volumi su di lui, segno che la sua eredità e la memoria della sua opera non è stata dimenticata o non si è esaurita.
Mi colpisce, però, l’omissione del ricordo della sua scomparsa, avvenuta il 26 giugno 1967 dopo una lunga malattia: nei quotidiani nazionali di oggi, neanche una riga.
Nel 2016 e nell’anno successivo, Eraldo Affinati ha scritto e parlato sulla figura di Don Lorenzo Milani con due volumi, che hanno ricevuto un buon riscontro: in particolare, il suo “L’uomo del futuro, Sulle strade di don Lorenzo Milani” oltre a ricevere un grande successo editoriale, è stato anche finalista al Premio Strega 2016. Segno che la figura del Priore di Barbiana non è stata dimenticata, anzi, incuriosisce e affascina in anni che sembrano molto lontani da quelli in cui si verifico una sorta di scommessa vinta, nonostante le premesse fossero tutte contro: far studiare i reietti e gli scartati dal sistema scolastico degli anni ’50 e ’60.
Alcuni degli studenti di don Lorenzo hanno avuto accesso ad un riscatto dalla società: hanno avuto la possibilità di lasciare il loro misero paese e condurre una vita migliore, sicuramente non più vittima dell’ignoranza, in cui probabilmente avrebbero continuato a vivere, così oppressi e senza armi culturali per difendersi da una società matrigna per i non benestanti.

Germano Baldazzi

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