“Back to the life”. Il film “Labbra Blu” di Andrea Rusich e Luciano Miconi
Il futuro è una grande incognita.
Nonostante le presunte sicurezze che ostentiamo e dietro le quali ci nascondiamo, nessuno di noi è in grado di prevedere cosa il destino gli riserva.
Così ci costruiamo i nostri scenari rassicuranti, nell’illusione di essere eterni ed indistruttibili.
Ma la vita prima o poi presenta il conto e noi ci troveremo ad affrontare un qualcosa per cui non eravamo assolutamente pronti.
E da quel momento in poi saremo costretti a confrontarci con la nostra verità più profonda che è racchiusa in un concetto semplice, come semplici sono gli elementi basilari di ogni percorso umano.
Questo concetto ha un nome: è la fragilità.
Così un evento improvviso, tragico ed inaspettato, come un incidente d’auto, può trasformare radicalmente le esistenze di alcuni giovani, facendoli passare da uno stato di onnipotente vitalità, ad una condizione di disabilità e dipendenza dagli altri.
E’ stato presentato ieri, al cinema Greenwich di Roma, “Labbra Blu” (2019), diretto dal regista e produttore indipendente Andrea Rusich, che insieme al sorprendente Luciano Miconi è anche l’autore e lo sceneggiatore del film. La loro collaborazione ha prodotto un piccolo capolavoro che oltre a mostrare la condizione di sofferenza di chi è uscito da un periodo di coma profondo, è un viaggio esistenziale nel mondo dei problemi connessi ai percorsi di rinascita e ritorno alla vita.
Il film prende spunto da una storia tragica, ispirata a fatti veramente accaduti.
Gabriele, la sua ragazza Lea e il suo migliore amico Tomas decidono di partire per intraprendere un viaggio coraggioso e surreale: andare a Bordeaux per sperimentare il volo in assenza di gravità. La meta è lontana e i tre si fanno prestare la macchina dai genitori di Gabriele. Durante il viaggio un incidente cambia tutto: le loro vite, i loro sogni e le loro aspettative rimangono sparse sull’asfalto. Gabriele rimane solo e adesso ha ventotto anni. L’incidente lo ha costretto a un lungo coma e, in seguito, a un lungo processo di riabilitazione. È stata un’esperienza che ha profondamente cambiato le relazioni con i genitori e con tutto ciò che lo circonda. Gabriele ha infatti perso l’uso della parola e una parte del suo corpo è paralizzata. Tomas e Lea devono affrontare le conseguenze dell’incidente in modo diverso anche se li accomuna la difficoltà di ricostruire una memoria ormai frammentata. I ragazzi, ognuno con il proprio destino sgretolato tra le mani, capiranno che tornare a vivere come prima è impossibile, ma questo non gli impedisce di intraprendere un lungo e difficile cammino per migliorare la propria condizione umana.
E’ notevole nel film l’interpretazione del protagonista Gabriele Valente.
Nato nel 1989, è stato vittima di un incidente stradale che ha cambiato per sempre la sua vita. Nel film interpreta sé stesso. Ironicamente nel corso della presentazione ha dichiarato : “Sono riuscito ad entrare nel personaggio!”. Con una recitazione spontanea, proprio perché vive ogni giorno sulla sua pelle quello che ha recitato nella pellicola, è stato in grado di comunicare, in modo efficace e commovente, la condizione di disabilità in cui si è venuto improvvisamente a trovare, a cui non era ovviamente preparato, ma da cui è dovuto ripartire per riprendere il suo cammino.
Film come questi aiutano a comprendere il valore della vita, di ogni vita e l’importanza di non aver paura della fragilità, ma della necessità di indagare dentro questa condizione umana per comprendere la ricchezza che al suo interno è celata.
La debolezza è lo specchio di ognuno di noi; comprenderla, significa non temerla e comprendere noi stessi.
Ma questo film è anche un’espressione artistica estremamente suggestiva.
Le musiche, la fotografia impeccabile, le atmosfere urbane in cui è ambientato (tra cui la vecchia borgata romana del Trullo alla quale Luciano Miconi è profondamente legato), i silenzi che “comunicano più di tante e inutili parole”, costituiscono l’esempio importante di un cinema capace di parlare, di far riflettere e di far commuovere.
Francesco Casarelli
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